Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22146
Sulle modalità di valutazione del “capitale investito” Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22146
“In tema di presupposti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, nella valutazione del capitale investito, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, trovano applicazione i principi contabili, cui si richiama il legislatore nell’articolo 1, comma 2, lett. a), L.F. (nel testo modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, applicabile ratione temporis, ed anche successivamente in quello sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007) e di cui è espressione l’articolo 2424 cod. civ., con la conseguenza che, con riferimento agli immobili, iscritti tra le poste attive dello stato patrimoniale, opera – al pari che per ogni altra immobilizzazione materiale – il criterio di apprezzamento del loro costo storico al netto degli ammortamenti, quale risultante dal bilancio di esercizio, ai sensi dell’articolo 2426, numeri 1 e 2, cod. civ., e non il criterio del valore di mercato al momento del giudizio”. (massima ufficiale)
Cassazione civile sez. I – 29/10/2010 n. 22146
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. PROTO Vincenzo - Presidente
- Dott. DI PALMA Salvatore - rel. Consigliere
- Dott. ZANICHELLI Vittorio - Consigliere
- Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere
- Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso 7244-2008 proposto da:
MANTOVANA SPORT DI GHEBBIONI MARINELLA & C. S.A.S. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, G.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALFREDO FUSCO 104, presso l'avvocato CAIAFA ANTONIO, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso; - ricorrenti -
CURATELA DEL FALLIMENTO MANTOVANA SPORT DI GHEBBIONI MARINELLA & C. S.A.S. E DI G.M., P.M. PRESSO LA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI LECCE, CASSA EDILE DI LECCE, P.M. PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI LECCE; - intimati - sul ricorso 10709-2008 proposto da: FALLIMENTO MANTOVANA SPORT DI GHEBBIONI MARINELLA & C. S.A.S., in persona del Curatore avv. D.D., G.G., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO RINASCIMENTO 11, presso LIBERAL S.R.L., rappresentati e difesi dall'avvocato ORLANDINI ALESSANDRO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato; - controricorrenti e ricorrenti incidentali
MANTOVANA SPORT DI GHEBBIONI MARINELLA & C. S.A.S., G.M., P.M. AFFARI CIVILI PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI LECCE, CASSA EDILE DI LECCE; - intimati - avverso la sentenza n. 745/2007 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 21/01/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA; preliminarmente la Corte dispone la riunione dei due ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza; udito, per i ricorrenti, l'Avvocato ANTONIO CAIAFA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale; udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l'Avvocato ALESSANDRO ORLANDINI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI PIETRO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale assorbito quello incidentale.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.
- A seguito di ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce in data 14 gennaio 2007, il Tribunale di Lecce, con la sentenza n. 30 del 27 marzo 2007, dichiarò il fallimento della s.a.s. Mantovana Sport di Ghebbioni Marinella & C, nonchè di G.M. in proprio.
2.
- Avverso tale sentenza la Società dichiarata fallita e la G. proposero appello dinanzi alla Corte d'Appello di Lecce, deducendo che i Giudici di primo grado: a) avevano erroneamente ritenuto sussistente lo stato di i insolvenza della Società, senza considerare che gli appellanti erano invece in grado di far fronte ai debiti, come dimostrato dalla circostanza che il debito verso la Cassa edile di Lecce - la quale aveva precedentemente proposto istanza di fallimento con ricorso del 19 luglio 2006 - era stato integralmente soddisfatto, tanto che la stessa Cassa aveva rinunciato all'istanza; b) avevano erroneamente affermato che la Società, nel corso dell'ultimo triennio, aveva realizzato ricavi lordi superiori ad Euro 200.000,00. Gli appellanti chiesero, pertanto, la revoca della dichiarazione di fallimento, previa ulteriore istruzione anche mediante consulenza tecnica d'ufficio. La Corte adita, in contraddittorio con la Cassa edile di Lecce, con il Fallimento della s.a.s. Mantovana Sport di Ghebbioni Marinella & C, nonchè con G.M. in proprio, dispose consulenza tecnica d'ufficio per accertare, sulla base delle scritture contabili e delle dichiarazioni presentate ai fini fiscali: se ricorressero i limiti dimensionali minimi della Società, richiesti per la dichiarazione di fallimento dalla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. a) e b), nel testo sostituito dal D.Lgs. 19 gennaio 2006, n. 5, art. 1; quale fosse il valore di mercato degli immobili della Società e, in particolare, di quelli alienati nel periodo sospetto. All'esito, la Corte di Lecce, con la sentenza n. 745/07 del 22 novembre 2007-21 gennaio 2008, rigettò gli appelli.
2.1.
- I Giudici dell'appello, per quanto in questa sede ancora rileva: A) per ciò che concerne l'affermata sussistenza dello stato di insolvenza, sulla base dell'acquisito "quadre probatorio chiarissimo, che non lascia adito a dubbi", hanno osservato: "la società, in grave crisi finanziaria, ha dapprima iniziato a non pagare le imposte e i contributi previdenziali; poi non è riuscita neppure ad evitare i pignoramenti da parte dei fornitori e ha addirittura sospeso il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti; anche la vendita di un capannone per drenare liquidità si è rivelata inutile, la situazione debitoria essendo rimasta gravissima ed ingestibile, tanto da convincere l'accomandataria ad abbandonare la società al suo inevitabile destino, per intraprendere la medesima attività commerciale valendosi di una ditta individuale"; B) per ciò che concerne i presupposti soggettivi per la dichiarazione di fallimento - dopo aver premesso che ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. a), L. Fall., per "investimenti nell'azienda" deve farsi riferimento al "capitale investito", inteso come totale dell'attivo dello stato patrimoniale comprendente tutte le voci di cui all'art. 2424 cod. civ., cioè le immobilizzazioni (immateriali, materiali e finanziarie), l'attivo circolante (rimanenze, crediti, disponibilità liquide), ratei e risconti -, hanno osservato che: 1) quanto alle immobilizzazioni immateriali e, in particolare, all'avviamento, questo non può essere conteggiato nell'attivo, perchè non risulta acquisito dalla Società a titolo oneroso: "pertanto, e concludendo sul punto, le immobilizzazioni immateriali vanno computate per l'importo indicato dal c.t.u. nella tabella n. 2 e quindi per Euro 24.556,05"; 2) quanto alle immobilizzazioni materiali 'terreno, capannone e abitazione del custode:, queste vanno conteggiate nell'attivo con riferimento non al costo storico al netto del fondo di ammortamento, bensì al loro valore di mercato, precisando al riguardo: "..- il legislatore, subordinando la fallibilità degli imprenditori commerciali al raggiungimento di una soglia minima di capitale investito, ha evidentemente perseguito lo scopo di limitare l'apertura di una procedura complessa e costosa come quella fallimentare ai casi in cui vi fossero beni di un certo rilievo da liquidare, in modo da evitare i cd. fallimenti antieconomici, nei quali l'attivo realizzato non è neppure sufficiente a coprire le spese di procedura. Se questa è la ratio legis, è del tutto evidente che ciò che rileva non è tanto il valore contabile di un bene, quanto i suo effettivo valore di mercato: pertanto, laddove come nella specie - vi sìa una notevole divergenza fra i valori contabili e i prezzi di mercato, è a questi ultimi che bisogna fare riferimento. In particolare, nel caso di un immobile, non ha senso avere riguardo al costo storico al netto del fondo di ammortamento, laddove risulti che lo stesso nel tempo abbia subito una notevole rivalutazione. Pertanto, e concludendo sul punto, il totale delle immobilizzazioni materiali non è pari a Euro 40.125,76 (come indicato dal c.t.u.), ma pari a Euro 263.071,00 (secondo le indicazioni fornite dal c.t.u., che del resto non divergono sensibilmente dalla valutazione effettuata dalla curatela a mezzo del suo tecnico)"; 3) quanto all'attivo circolante, la notevole divergenza esistente in ordine a tale componente dell'attivo dello stato patrimoniale - pari ad Euro 213.049,00, secondo la situazione di bilancio al 31 dicembre 2005, ovvero ad Euro 67.541,23, secondo i rendiconti prodotti dalla Società fallita durante le operazioni peritali, o ancora ad Euro 130.597,05, secondo i dati forniti dal curatore - "dipende dalla diversa valutazione dei crediti", precisando al riguardo che: "-.. sebbene la curatela abbia stimato i crediti sulla base delle informazioni trasmesse dai legali incaricati del loro recupero, sia giusto prudenzialmente fare riferimento ai dati indicati dalla società fallita (e riportati dal c.t.u. nella tabella n. 2), tenuto conto delle difficoltà che sempre incontrano le curatele fallimentari nell'attività di riscossione coattiva dei crediti. Pertanto, l'attivo circolante deve ritenersi pari a Euro 67.641,74"; 4) "In conclusione, sommando le immobilizzazioni immateriali" (pari a Euro 24.556,05), le immobilizzazioni materiali (pari a Euro 263.071,00) e l'attivo circolante (pari a Euro 67.641,74), si giunge a determinare il totale dell'attivo dello stato patrimoniale in complessivi Euro 355.278,00 recte: 355.266,79 e quindi in un importo superiore alla soglia minima di fallibilità"; C) per ciò che concerne l'alienazione, da parte della Società, di un capannone nel periodo sospetto, hanno affermato che, "per completezza ... al predetto importo dovrebbe essere sommato anche il valore dei cespiti (un capannone) alienati in periodo sospetto per il prezzo di Euro 120.000,00 (ed aventi - secondo il c.t.u. - un valore di mercato all'incirca corrispondente al prezzo di vendita); D) per ciò che concerne i ricavi lordi della Società nel triennio precedente l'istanza di fallimento - la cui media è stata accertata dalla Corte leccese nella misura di Euro 114.433,00, cioè in un importo di molto inferiore alla soglia minima di fallibilità -, hanno previamente affermato: "... poichè il criterio del "capitale investito" è di per sè sufficiente a giustificare il fallimento della soc. Mantovana Sport, non è necessario soffermarsi a lungo sul criterio alternativo dei ricavi lordi, che invece non giustificherebbe la pronuncia impugnata".
3.
- Avverso tale sentenza la s.a.s. Mantovana Sport di Ghebbioni Marinella & C. e G.M. in proprio hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico articolato motivo di censura. Resistono, con controricorso illustrato da memoria, il Fallimento della s.a.s. Mantovana Sport di Ghebbioni Marinella & C. e di G.M. in proprio, il quale ha anche proposto ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi di censura. La Cassa edile di Lecce e il Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Lecce, benchè ritualmente intimati, non si sono costituiti nè hanno svolto attività difensiva. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Preliminarmente, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., va disposta la riunione del ricorso principale (n. 7244 del 2008) e del ricorso incidentale (n. 10709 del 2008), in quanto proposti contro la stessa sentenza. 2. - Con l'unico motivo (con cui deducono: "Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 2, lett. a e b, L. Fall., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, in relazione, partitamente, all'art. 61, comma 1, n. 1, L. Fall.; art. 2424 c.c., art. 2426 c.c., nn. 2, 6 ed 8, artt. 2211, 2261, 2364 cod. civ.; D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 1, e art. 1, comma 1; D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 4, - art. 360 c.p.c., n. 3"), i ricorrenti principali criticano la sentenza impugnata, sostenendo che: a) il legislatore della riforma del fallimento, attuata con il D.Lgs. n. 5 del 2006, è stato mosso dall'esigenza di individuare il "valore degli investimenti", di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), della legge fallimentare, ai fini della fallibilità dell'imprenditore, attribuendo indiscussa prevalenza a quanto risulta dal bilancio di esercizio e, quindi, alle scritture contabili, con la conseguenza che i beni iscritti nell'attivo del bilancio devono essere valutati per il loro valore contabile ed al netto degli ammortamenti, pur se influenzato da eventuali svalutazioni verificatesi nei precedenti esercizi; b) conseguentemente, nella specie, quanto alle immobilizzazioni materiali (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera B, n. 2), i Giudici a quibus avrebbero dovuto valutare le stesse attribuendo loro il valore risultante dalla contabilità - pari ad Euro 40.125,76 -, anzichè quello di mercato, tanto più che tale valutazione risulta contraddittoria rispetto alla finalità del legislatore di evitare i fallimenti cosiddetti "antieconomici", finalità che impone di attenersi ad una valutazione prudenziale, cioè al valore contabile, come del resto confermato dall'art. 2426 c.c., n. 3; c) sempre quanto alle immobilizzazioni materiali, i Giudici a quibus hanno del tutto omesso di esaminare le argomentazioni difensive concernenti l'"accertata presenza di parti di amianto nei beni immobili della società fallita", circostanza che, se esaminata, avrebbe condotto ad una valutazione di tali beni pari a zero; d) ancora quanto alle immobilizzazioni materiali (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera C), i Giudici a quibus hanno errato nell'includere nel "capitale investito" il valore dell'immobile (capannone) alienato dalla Società nel periodo sospetto nella prospettiva di un vittorioso esperimento dell'azione revocaforia; e) quanto alle immobilizzazioni immateriali e, in particolare, all'avviamento (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera B, n. 1), i Giudici a quibus - pur avendo escluso che la voce avviamento potesse essere conteggiata nell'attivo dello stato patrimoniale, non risultando acquisito dalla Società a titolo oneroso - hanno contraddittoriamente inserito detta voce nell'attivo; f) quanto all'attivo circolante e, in particolare, ai crediti (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera B, n. 3), i Giudici a quibus hanno conteggiato tali crediti nell'attivo, attribuendo agli stessi il valore di Euro 67.641, 74, ciò erroneamente in quanto, essendo gli stessi crediti interamente contestati in sede civile, il loro valore avrebbe dovuto considerarsi pari a zero, conformemente al criterio di cui all'art. 2426 c.c., n. 8; g) quanto, infine, al criterio dei ricavi lordi (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera D), i Giudici a quibus hanno erroneamente calcolato tali ricavi riferendoli agli ultimi tre anni solari e non già - come invece avrebbero dovuto - al triennio inteso come gli ultimi tre esercizi sociali.
3.
- Con il primo motivo (con cui deduce: "Violazione artt. 99 e 112 c.p.c.; violazione art. 2907 cod. civ.; nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4"), il ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte di Lecce sarebbe incorsa nel vizio di extrapetizione, in quanto i Giudici a quibus, a fronte dei motivi d'appello formulati dalla Società ed incentrati soltanto sulla affermata sussistenza dello stato di insolvenza nonchè sull'applicazione del criterio dei ricavi lordi effettuata dal Tribunale, hanno pronunciato anche con riferimento al criterio del capitale investito nelle sue varie voci, che non aveva formato oggetto di impugnazione, con la conseguenza che la stessa sentenza è affetta da nullità. Con il secondo motivo (con cui deduce: "Violazione L. Fall., art. 1. Violazione art. 360 c.p.c., n. 3"), il ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata nella parte in cui sono stati conteggiati i crediti della Società nella misura indicata nei rendiconti della Società fallita, sostenendo che ancorare il criterio determinativo dei crediti ad un parametro impalpabile quale quello della loro effettiva riscossione comporterebbe scelte giurisdizionali ampiamente discrezionali, con conseguente disapplicazione del criterio quantitativo di cui all'art. 1 L. Fall..
4.
- Il controricorrente Fallimento eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso principale, per l'inidonea formulazione dei quesiti di diritto ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., sia perchè i quesiti sono cumulativamente trascritti in calce al ricorso, sia perchè essi sono carenti dello specifico riferimento alla fattispecie. L'eccezione è infondata. Nella specie, il motivo del ricorso principale è unico, anche se esso - come appare dalla sua sintesi dianzi operata (cfr., supra, n. 2) - è articolato in più profili, corrispondenti ai punti della sentenza impugnata concernenti le varie voci dell'attivo dello stato patrimoniale. Orbene, i ricorrenti principali contrariamente a quanto opinato dal ricorrente incidentale hanno correttamente formulato i singoli quesiti di diritto "a conclusione" dell'illustrazione dei corrispondenti profili di censura, strettamente connessi in ragione del loro oggetto, facendo inoltre specifico riferimento alle concrete e distinte fattispecie (immobilizzazioni materiali, immobilizzazioni immateriali, avviamento etc.).
5.
- Il primo motivo del ricorso incidentale - con il quale il Fallimento denuncia la nullità della sentenza impugnata per il vizio di extrapetizione in cui sarebbero incorsi i Giudici a quibus, avendo questi pronunciato anche con riferimento al criterio del "capitale investito" nelle sue varie voci, criterio non fatto oggetto di impugnazione da parte degli odierni ricorrenti principali che, invece, avevano formulato motivi d'appello incentrati soltanto sulla affermata sussistenza dello stato di. insolvenza e sull'applicazione del criterio dei "ricavi lordi" effettuata dal Tribunale di Lecce -, da esaminare preliminarmente in ragione del vizio processuale denunciato, è privo di fondamento. L'art. 1, comma 2, L. Fall., nel testo sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 1, comma 1, (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, a norma della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 5), vigente dal 16 luglio 2006, dispone(va): "Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore ad Euro trecentomila; b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a Euro duecentomila". Deve premettersi che, nella specie, l'oggetto specifico della controversia, sia in primo grado che in grado d'appello, concerne proprio la sussistenza o no dei presupposti dimensionali della s.a.s. Mantovana Sport di Ghebbioni Marinella & C, ai fini della sua dichiarazione di fallimento. In particolare, il Tribunale di Lecce, per dichiarare il fallimento della Società e della socia accomandataria, aveva applicato, ratione temporis, l'art. 1, comma 2, lett. b), L. Fall., nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 1, comma 1, privilegiando il criterio dei "ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a Euro duecentomila", rispetto ai criterio "alternativo", previsto dalla lettera a) dello stesso secondo comma dell'art. 1, degli "investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a Euro trecentomila". La Certe leccese, per respingere l'appello della Società e della socia accomandataria dichiarate fallite, ha, invece, privilegiato tale ultimo criterio, applicando il medesimo testo legislativo, vigente al momento della deliberazione della sentenza impugnata (22 novembre 2007) ed escludendo altresì la sussistenza del presupposto dimensionale in riferimento al criterio alternativo dei "ricavi lordi". Ciò premesso, l'infondatezza del motivo in esame consegue immediatamente ai concorrenti rilievi che, con l'atto d'appello, la Società e la socia accomandataria -contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente incidentale - non si erano limitati a criticare specificamente la ratio decidendi della sentenza di primo grado (cioè l'affermata sussistenza del presupposto dimensionale riferito al criterio dei "ricavi lordi"), ma avevano anche specificamente negato la sussistenza dell'altro presupposto dimensionale riferito al criterio alternativo del "capitale investito", e che - a fronte di tale thema decidendum - l'"alternatività" di detti criteri, posta dalla su richiamata disposizione, consentiva certamente alla Corte di Lecce di tenere conto del criterio dimensionale del "capitale investito" ai fini della dichiarazione di fallimento della Società e della socia accomandataria.
6.
- Il ricorso principale merita accoglimento, limitatamente ai profili di censura sub a) e b), di cui al precedente n. 2. 6.1. - Posto che la sentenza impugnata ha escluso - diversamente dai Giudici di primo grado - che l'applicazione del criterio dimensionale dei "ricavi lordi" potesse condurre alla dichiarazione di fallimento della Società e della socia accomandataria (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera D), l'unico elemento dell'attivo dello stato patrimoniale che, valutato dalla Corte di Lecce secondo il criterio dimensionale "alternativo" del "capitale investito", ha determinato la dichiarazione di fallimento, è costituito dalle "immobilizzazioni materiali" della Società (terreno, capannone ed abitazione del custode): tali immobili sono stati infatti valutati dai Giudici a quibus con riferimento non al loro costo storico al netto del fondo di ammortamento (Euro 40.125,76, come indicato dal consulente tecnico d'ufficio), bensì al loro valore di mercato al momento del giudizio (Euro 263.071,00); ciò, essenzialmente sulla base della considerazione che "il legislatore, subordinando la fallibilità degli imprenditori commerciali al raggiungimento di una soglia minima di capitale investito, ha evidentemente perseguito lo scopo di limitare l'apertura di una procedura complessa e costosa come quella fallimentare ai casi in cui vi fossero beni di un certo rilievo da liquidare, in modo da evitare i cd. fallimenti antieconomici, nei quali l'attivo realizzato non è neppure sufficiente a coprire le spese di procedura. Se questa è la ratio legis, è del tutto evidente che ciò che rileva non è tanto il valore contabile di un bene, quanto il suo effettivo valore di mercato: pertanto, laddove - come nella specie - vi sia una notevole divergenza fra i valori contabili e i prezzi di mercato, è a questi ultimi che bisogna fare riferimento. In particolare, nel caso di un immobile, non ha senso avere riguardo al costo storico al netto del fondo di ammortamento, laddove risulti che lo stesso nel tempo abbia subito una notevole rivalutazione". Nella specie, il carattere "determinante" di tale valutazione delle immobilizzazioni materiali per la dichiarazione di fallimento della Società e della socia accomandataria emerge dalla considerazione che - secondo la stessa premessa della sentenza impugnata, per la quale la nozione legislativa di "investimenti nell'azienda" fa riferimento al "capitale investito", inteso come totale dell'attivo dello stato patrimoniale comprendente tutte le voci di cui all'art. 2424 cod. civ., cioè le immobilizzazioni (immateriali, materiali e finanziarie), l'attivo circolante (rimanenze, crediti, disponibilità liquida), i ratei, ed i risconti - la somma di tali elementi dell'attivo patrimoniale risulterebbe "sopra soglia" ovvero "sotto soglia" (Euro 300.000,00), a seconda che dette immobilizzazioni materiali fossero valutate al prezzo di mercato in atto al momento della decisione circa il fallimento, ovvero al loro costo di acquisto al netto del fondo di ammortamento indicato nel bilancio di esercizio (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera B, n. 4). 6.2. - La specifica questione che dunque, per la prima volta, viene sottoposta all'esame di questa Corte consiste nello stabilire se - ai sensi del criterio dimensionale dell'impresa "fallibile", di cui all'art. 1, comma 2, lett. a), L. Fall., nel teste sostituito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 1, comma 1, ("Ai fini del comma 1, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore ad Euro trecentomila ...") - le "immobilizzazioni materiali" dell'impresa debbano essere valutate per il loro costo di acquisto al netto del fondo di ammortamento, quale risultante dal bilancio di esercizio, ovvero per il loro valore di mercato nel momento della decisione circa il fallimento. Il Collegio ritiene giuridicamente corretta la soluzione di tale questione nel primo senso dell'alternativa. Nel corso del (breve) periodo di vigenza della disposizione in esame, applicabile alla specie ratione temporis, con riguardo al parametro costituito dai valore degli investimenti effettuati nell'azienda - giudicato dallo stesso legislatore del decreto legislativo, cosiddetto "correttivo", 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nonchè al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, commi 5, 5-bis e 6) "alquanto vago e di incerta definizione" (Relazione ministeriale al D.Lgs. n. 169 del 2007) -, la prevalente dottrina aveva ricondotto ad esso l'intero attivo patrimoniale, quale risultante dal bilancio di esercizio. Tale opinione dottrinale è stata accolta dal legislatore del 2007, il quale ha sostituito detto parametro "con quello dell'"attivo patrimoniale", il quale consente di far riferimento alla precisa elencazione contenuta nell'art. 2424 c.c." (Relazione cit.): infatti, l'art. 1, comma 2, lett. a), L. Fall., nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 1, comma 1, - stabilendo: "Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al comma 1 gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad Euro trecentomila ..." - ha risolto, come sottolineato in dottrina, due dei più rilevanti problemi posti dalla precedente formulazione, cioè quello della individuazione delle componenti patrimoniali sulla base delle quali effettuare la valutazione e quello della definizione delle coordinate cronologiche entro le quali contestualizzarla, in coerenza con quanto disposto dall'art. 14 della stessa legge fallimentare, nel testo sostituito dal D.Lgs n. 5 del 2006, art. 12, il quale fa obbligo all'imprenditore che chiede il proprio fallimento di "depositare presso la cancelleria del tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie: concernenti i tre esercizi precedenti ovvero l'intera esistenza dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata". Del resto, questa Corte ha già affermato la correttezza giuridica del riferimento all'art. 2424 cod. civ. "quale criterio normativo per definire il concetto di attivo patrimoniale", posto che nella valutazione del "capitale investito", ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore "non fallibile", trovano applicazione i principi di logica contabile mutuati dalle scienze economico-aziendali, cui si richiama l'art. 1, comma 2, lett. a), L. Fall. (nel testo sostituito appunto dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 1, comma 1) e di cui è espressione lo stesso art. 2424 cod. civ. (cfr. la sentenza n. 17553 del 2009). Da ciò consegue che, in tale contesto, per la valutazione delle "immobilizzazioni materiali" deve farsi riferimento ai criteri stabiliti dall'art. 2426 c.c., nn. 1 e 2, secondo i quali, in particolare, "le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione" (numero 1, primo periodo) e "il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione" (numero 2, primo periodo). A siffatta conclusione conducono: a) in primo luogo, la stessa ratio legis, considerando che l'art. 1, comma 2, L. Fall., sia nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006 sia in quello sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, mira non già ad evitare i fallimenti cosiddetti "antieconomici" - come erroneamente affermato dai Giudici a quibus -, bensì a definire "l'area della fallibilità" con riferimento alla "dimensione" patrimoniale ed economica dell'impresa insolvente, individuata mediante il richiamo di parametri normalmente ed agevolmente desumibili dal bilancio di esercizio, cioè dal principale documento rappresentativo, se redatto conformemente ai principi della chiarezza e della rappresentazione veritiera e correità, della situazione patrimoniale e finanziaria della stessa impresa al termine di ciascun periodo amministrativo e del risultato economico conseguito per effetto della gestione, documento ovviamente imposto a tutela non soltanto del o dei singoli soci, ma anche, attraverso l'obbligo del suo deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, di tutti i terzi e dei creditori in particolare; b) in secondo luogo, conseguentemente, sia il carattere normalmente certo e sicuro dei dati risultanti dai documenti contabili imposti per legge - "facilmente accertabili in sede prefallimentare ... sulla base delle scritture contabili" (cfr. Relazione ministeriale al D.Lgs. n. 5 del 2006) -, sia l'inderogabilità dei criteri di valutazione dettati dall'art. 2426 cod. civ., la cui funzione consiste proprio nell'assicurare la trasparenza e la leggibilità del bilancio da parte dei soci e dei terzi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 11091 del 2008), sia la sostanziale corrispondenza a tali criteri legali di valutazione dei principi contabili O.I.C. (Organismo Italiano di Contabilità) in tema di valutazione delle immobilizzazioni materiali; e) infine, la specifica considerazione che le immobilizzazioni materiali, tradizionalmente contabilizzate a "valori storici" o 'va costi storici", devono essere iscritte in bilancio al loro valore originario corrispondente al costo di acquisizione, il quale rappresenta non solo il valore economicamente corrette ma anche la base per la determinazione delle quote di ammortamento per la durata della loro vita utile. 7. - Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione alle censure accolte e la relativa causa deve essere rinviata alla Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione, la quale, oltre ad uniformarsi ai su enunciati principi di diritto, provvedere anche a regolare le spese del presente grado del giudizio. 8. - Conseguentemente, i profili di censura del ricorso principale sub c), d), e), f) e g), di cui al precedente n. 2., e il secondo motivo del ricorso incidentale, di cui al precedente n. 3., restano assorbiti.
Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
I.
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
II.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
III.
I limiti di cui alle lettere a), b e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
(1) Articolo sostituito dall’art. 1 del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, pubb. in Gazz. Uff. 16 ottobre 2007, n. 241, con effetto dal 1° gennaio 2008. La norma si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1° gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente (per il regime transitorio vedi art. 22 D.Lgs. cit.).
Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
I) Sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 L.F.
II) Sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo
III) Sulla fallibilità delle società partecipate dagli enti locali
IV) Sulla prova del mancato superamento dei limiti-soglia
V) Sui poteri istruttori del giudice
VI) Sugli elementi valutabili ai fini della verifica dei requisiti di fallibilità
VII) Sui rapporti tra l’articolo 18 e l’articolo 1 L.F.
VIII) Sul nomen iuris del fallimento del socio
IX) Sulle problematiche di giurisdizione in caso di mutamento di sede
X) Sul diritto del debitore ad ottenere un termine per la presentazione di una procedura concorsuale negoziale
XI) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento
XII) Sulla fallibilità in caso di sussistenza di crediti temporaneamente inesigibili ex art. 20 L. 44/1999
XIII) Sulla dichiarazione di fallimento anche senza previa risoluzione dell’A.D.R.
XIV) Sui rapporti fra concordato preventivo e fallimento
XV) Sullo stato d' insolvenza
XVI) Sulla responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali
I) Sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 L.F.
II) Sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo
III) Sulla fallibilità delle società partecipate dagli enti locali
IV) Sulla prova del mancato superamento dei limiti-soglia
VI) Sugli elementi valutabili ai fini della verifica dei requisiti di fallibilità
- Cassazione civile, sez. I, 27 maggio 2015, n. 10952
- Cassazione civile, sez. I, 2 dicembre 2011, n. 25870
- Cassazione civile, sez. I, 4 maggio 2011, n. 9760
- Cassazione civile, sez. I, 3 dicembre 2010, n. 24630
- Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22150
- Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22146
- Cassazione civile, sez. I, 29 luglio 2009, n. 17553
VII) Sui rapporti tra l’articolo 18 e l’articolo 1 L.F.
IX) Sulle problematiche di giurisdizione in caso di mutamento di sede
X) Sul diritto del debitore ad ottenere un termine per la presentazione di una procedura concorsuale negoziale
XI) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento
XII) Sulla fallibilità in caso di sussistenza di crediti temporaneamente inesigibili ex art. 20 L. 44/1999
XIII) Sulla dichiarazione di fallimento anche senza previa risoluzione dell’A.D.R.
XIV) Sui rapporti fra concordato preventivo e fallimento
- Cassazione civile, sez. VI, 5 novembre 2020, n. 24660 (Rel Pazzi)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)