Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22150
Sulla nozione di “capitale investito” Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22150
“La nozione di “capitale investito”, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, all’esclusivo fine di integrare il parametro dimensionale ostativo all’assoggettabilità al fallimento, se non superiore a trecentomila euro, si ricava dai principi contabili, cui si richiama l’articolo 1, secondo comma, lett. a), L.F., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, applicabile ratione temporis e poi modificato, con mera precisazione, con il D.Lgs. n. 169 del 2007, e consiste in tutto l’attivo che fa parte dello stato patrimoniale da indicare nel bilancio, ai sensi dell’articolo 2424 cod. civ. e cioè nella nozione, applicabile tanto all’imprenditore individuale che a quello collettivo, di patrimonio, trasformato o meno in strumenti per la produzione ovvero ancora in attesa di allocazione, a disposizione dell’imprenditore, e dunque ricomprendente anche i crediti”. (massima ufficiale)
Cassazione civile sez. I – 29/10/2010 n. 22150
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. PROTO Vincenzo - Presidente
- Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere
- Dott. RORDORF Renato - Consigliere
- Dott. ZANICHELLI Vittorio - rel. Consigliere
- Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
SAIU ELETTRONICA s.r.l., fallita, in persona del curatore pro tempore, con domicilio eletto in Roma, via Pellegrino Matteucci n. 41, presso l'Avv. Diana Massimo, rappresentata e difesa dall'Avv. Del Giudice Arturo, come da procura a margine del ricorso; - ricorrente -
IBM ITALIA SERVIZI FINANZIARI s.p.a., con domicilio eletto in Roma, via Gregoriana n. 5, presso l'Avv. Todaro Paolo che la rappresenta e difende unitamente all'Avv. Raffaeli Adriano, come da procura a margine del controricorso; - controricorrente - e
SAIU ELETTRONICA S.R.L. e D.G.E.; - intimati - nonchè sul ricorso proposto da: IBM ITALIA SERVIZI FINANZIARI s.p.a., come sopra domiciliata e difesa; - ricorrente incidentale -
D.G.E.; SAIU ELETTRONICA in liquidazione; SAIU ELETTRONICA, fallita; - intimati - per la Cassazione della sentenza della Corte d'appello di Roma n. 3262/08 depositata il 4 agosto 2008; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 8 ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio Zanichelli; uditi gli Avv.ti Del Giudice Arturo e Todaro Paolo per le ricorrenti; sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sorrentino Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La curatela del fallimento della SAIU Elettronica s.r.l. ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello la quale ha riformato la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il fallimento ritenendo che la società fosse da qualificarsi piccolo imprenditore non avendo effettuato investimenti in misura superiore alla soglia individuata nella L. Fall., art. 1 nella formulazione risultante dal D.Lgs. n. 5 del 2006. Il ricorso è affidato a due motivi con i quali si contesta, rispettivamente, l'interpretazione data dalla Corte territoriale alla nozione di investimenti, nei quali non sarebbero ricompresi anche i crediti, nonchè l'avere la Corte dato rilievo alla questione dell'ammontare degli investimenti benchè l'appello della società investisse unicamente la statuizione del Tribunale in ordine al periodo da prendere in considerazione al fine dell'accertamento del dato quantitativo. Resiste con controricorso unicamente la creditrice IBM Italia Servizi Finanziari s.p.a. che propone a sua volta ricorso incidentale deducendo la stessa censura in relazione alla ritenuta erronea esclusione dei crediti dalla nozione di investimenti rilevante per l'individuazione del piccolo imprenditore escluso dal fallimento. Nessuno resiste al ricorso incidentale.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Si da atto che il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti in udienza in quanto proposti nei confronti della stessa sentenza. Con il secondo motivo del ricorso della curatela, che per ragioni di pregiudizialità, deve essere prioritariamente valutato in quando potenzialmente assorbente, si censura l'impugnata decisione per violazione dell'art. 112 c.p.c. sostenendosi che la Corte d'appello avrebbe posto a fondamento della sua decisione una questione non fatta oggetto dei motivi di appello, non avendo l'impresa appellante contestato che i crediti non dovessero essere computati tra gli investimenti ma solo che non dovesse tenersi conto del superamento del parametro di Euro 300.000 per un'annualità (il 2004) ma della media de triennio che a tale parametro era rimasta inferiore e che comunque avrebbe sollevato d'ufficio tale problematica senza invitare le parti ad interloquire sul punto. Il motivo è inammissibile in parte per inidoneità del quesito che lo correda e in parte in quanto non coglie la ratio decidendi. Per quanto attiene all'inidoneità del quesito deve rilevarsi che nello stesso non si fa alcun cenno del principio che nel motivo si assume violato e relativo all'obbligo del giudice di non travalicare i limiti della domanda, nella specie pronunciandosi su una questione risolta dalla sentenza di primo grado ma non fatta oggetto di motivi di appello, ma si enuncia solo la nullità della sentenza per mancata segnalazione da parte del giudice delle questioni che ritiene di sollevare d'ufficio. Per quanto attiene a tale censura, poi, il motivo è inammissibile in quanto fondato sul presupposto che il giudice abbia ritenuto di rilevare d'ufficio la questione attinente alla qualificazione degli investimenti mentre risulta dalla parte narrativa del provvedimento impugnato che la Corte territoriale ha interpretato l'appello come volto a censurare la sentenza del tribunale anche sotto tale profilo, avendo riportato, riferendo delle doglianze dell'appellante, che "Inoltre, l'attivo patrimoniale non poteva identificarsi in toto con gli investimenti, essendo in parte costituito da crediti verso i fornitori, crediti rivelatisi in seguito inesigibili" ed essendosi quindi ritenuta investita della specifica questione, valutazione, questa, come si è rilevato non adeguatamente censurata. Il secondo motivo del ricorso della curatela e l'unico motivo del ricorso della IBM Italia Servizi Finanziari s.p.a. possono essere trattati congiuntamente in quanto propongono la stessa censura di violazione della L. Fall., art. 1 quale risultante dalle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 5 del 2006 sostenendosi che avrebbe errato la Corte d'appello nel ritenere che i crediti non rientrino nel concetto di investimenti mentre avrebbe dovuto ritenere qualificabile come investimento tutto ciò che l'art. 2424 c.c. individua come facente parte dello stato patrimoniale da indicare nel bilancio. Le censure sono fondate. Giova premettere che il D.Lgs. n. 5 del 2006 ha modificato la L. Fall., art. 1 dettando una definizione di piccolo imprenditore valida solo ai fini dell'assoggettabilità al fallimento imperniata sul requisito dimensionale derivante dal mancato superamento di alcuni parametri per cui: "Ai fini del comma 1, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a Euro trecentomila; b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a Euro duecentomila". La prima annotazione che deve essere fatta è quella che la disposizione non ha alcuna pretesa di operare un'effettiva selezione delle piccole imprese con l'utilizzo di sofisticati parametri o attingendo agli approdi della dottrina aziendalistica ma solo quello di risolvere la vexata quaestio dell'individuazione, ai soli fini della fallibilità e con i limiti anche temporali dell'istruttoria prefallimentare, dell'imprenditore qualificabile come piccolo e quindi esonerato dal fallimento che è sempre stata fonte di discussione e di incerta definizione giurisprudenziale anche per le interferenze con la normativa civilistica. Di tale circoscritta e pratica finalità è univoco indice la Relazione illustrativa che chiarisce che molteplici avrebbero potuto essere i criteri di individuazione ma che "All'esito della discussione sono stati prescelti, in via assolutamente alternativa tra di loro, i due criteri che rispecchiano in maniera più congrua l'effettiva consistenza delle dimensioni effettivamente assunte dall'impresa insolvente e del patrimonio aziendale, ma che siano comunque facilmente accertabili in sede prefallimentare sia sulla base delle scritture contabili e dei registri fiscali, sia sulla base delle informative richieste di prassi alla Guardia di finanza". Le prime esperienze hanno tuttavia consigliato una rivisitazione della materia che è stata compiuta con il c.d. decreto correttivo che, oltre ad aggiungere l'ulteriore parametro dell'indebitamento e ad escludere ogni accenno alla figura del piccolo imprenditore per evitare interferenze con la nozione presente in altri settori dell'ordinamento, ha modificato, per quanto qui interessa, il parametro dimensionale dato dall'ammontare degli investimenti sostituendolo con quello, legislativamente definito, dell'attivo patrimoniale con una norma che è volta a sostituire un criterio di incerta definizione con uno della stessa natura ma maggiormente certo in quanto, come ancora si esprime la Relazione al nuovo testo, "il parametro dell'ammontare degli "investimenti", alquanto vago e di incerta definizione, viene sostituito con quello dell'"attivo patrimoniale", il quale consente di far riferimento alla precisa elencazione contenuta nell'art. 2424 c.c.: Tanto premesso ritiene il Collegio che ai fini dell'individuazione del perimetro degli investimenti rilevante per la norma fallimentare tendenzialmente non debba attingersi a discipline estranee a quella concorsuale anche se contigue ma debba ricercarsi in quest'ultima un possibile criterio di interpretazione e altresì che questa debba trovare conferma nella successiva evoluzione normativa, sul presupposto che appunto di evoluzione si tratti e non di rottura in considerazione del carattere "correttivo" e non innovativo del D.Lgs. n. 169 del 2007 rispetto al D.Lgs. n. 5 del 2006. Sotto il primo profilo può ragionevolmente ritenersi che il legislatore, nel dettare il criterio in questione, si sia ispirato al precedente normativo che del piccolo imprenditore forniva una definizione ancorata a parametri quantitativi costituito dall'originaria formulazione della L. Fall., art. 1 che recitava, per quanto qui interessa, che "sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un'attività commerciale nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore a L. trentamila". Parafrasando tale formula, tuttavia, il legislatore ha dimenticato (e non è questa certo l'unica imprecisione del testo del 2006) che il criterio veniva riferito all'imprenditore individuale posto che, come recitava subito dopo la norma, "In nessun caso sono considerate piccoli imprenditori le società commerciali". Ma se così è, la disposizione, che per l'imprenditore individuale appare sostanzialmente corretta in quanto descrive la separazione di una parte del patrimonio di un soggetto e il suo "investimento" in un'impresa, così che quest'ultimo coincide con il capitale a disposizione della stessa considerato nella sua trasformazione e evoluzione, non appare letteralmente trasferibile nell'ipotesi di imprenditore collettivo, posto che questo non utilizza una parte del proprio patrimonio per investirlo nell'attività ma semmai utilizza il capitale immesso nell'impresa. Poichè per ovvie ragioni il criterio in discorso deve essere applicabile sia all'imprenditore individuale che a quello collettivo, posto che anche quest'ultimo poteva essere qualificato come "piccolo imprenditore" ne consegue che per capitale investito non deve intendersi quello utilizzato per l'acquisto dei mezzi di produzione ma tutto il patrimonio a disposizione dell'imprenditore, indipendentemente dalla circostanza che sia stato trasformato in strumenti per la produzione o sia in attesa di allocazione. Tale interpretazione, che si concilia perfettamente con la finalità di individuare le dimensioni dell'impresa prescindendo dall'impiego concreto delle disponibilità, risponde pienamente all'ulteriore canone interpretativo sopra richiamato, posto che la sostituzione del criterio in discorso con quello dell'attivo patrimoniale operato con il decreto correttivo si pone in una evidente linea di continuità e non di rottura come è logico attendersi da un provvedimento volto a chiarire e a meglio definire alla luce delle evidenziate difficoltà operative la normativa introdotta con la riforma. Ne consegue che anche i crediti debbono essere qualificati come investimenti (così come rientrano nell'attivo patrimoniale ex art. 2424 c.c.) o meglio, riprendendo la definizione da cui ha preso le mosse il legislatore, come capitale investito nell'azienda e quindi rilevano ai fini della quantificazione del parametro dimensionale in questione. Il ricorso deve dunque essere accolto e la causa rinviata, anche per le spese, al giudice a quo che si atterrà al principio come sopra definito.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e quello incidentale, rigetta il secondo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2010. Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2010
Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
I.
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
II.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
III.
I limiti di cui alle lettere a), b e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
(1) Articolo sostituito dall’art. 1 del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, pubb. in Gazz. Uff. 16 ottobre 2007, n. 241, con effetto dal 1° gennaio 2008. La norma si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1° gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente (per il regime transitorio vedi art. 22 D.Lgs. cit.).
Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
I) Sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 L.F.
II) Sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo
III) Sulla fallibilità delle società partecipate dagli enti locali
IV) Sulla prova del mancato superamento dei limiti-soglia
V) Sui poteri istruttori del giudice
VI) Sugli elementi valutabili ai fini della verifica dei requisiti di fallibilità
VII) Sui rapporti tra l’articolo 18 e l’articolo 1 L.F.
VIII) Sul nomen iuris del fallimento del socio
IX) Sulle problematiche di giurisdizione in caso di mutamento di sede
X) Sul diritto del debitore ad ottenere un termine per la presentazione di una procedura concorsuale negoziale
XI) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento
XII) Sulla fallibilità in caso di sussistenza di crediti temporaneamente inesigibili ex art. 20 L. 44/1999
XIII) Sulla dichiarazione di fallimento anche senza previa risoluzione dell’A.D.R.
XIV) Sui rapporti fra concordato preventivo e fallimento
XV) Sullo stato d' insolvenza
XVI) Sulla responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali
I) Sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 L.F.
II) Sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo
III) Sulla fallibilità delle società partecipate dagli enti locali
IV) Sulla prova del mancato superamento dei limiti-soglia
VI) Sugli elementi valutabili ai fini della verifica dei requisiti di fallibilità
- Cassazione civile, sez. I, 27 maggio 2015, n. 10952
- Cassazione civile, sez. I, 2 dicembre 2011, n. 25870
- Cassazione civile, sez. I, 4 maggio 2011, n. 9760
- Cassazione civile, sez. I, 3 dicembre 2010, n. 24630
- Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22150
- Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22146
- Cassazione civile, sez. I, 29 luglio 2009, n. 17553
VII) Sui rapporti tra l’articolo 18 e l’articolo 1 L.F.
IX) Sulle problematiche di giurisdizione in caso di mutamento di sede
X) Sul diritto del debitore ad ottenere un termine per la presentazione di una procedura concorsuale negoziale
XI) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento
XII) Sulla fallibilità in caso di sussistenza di crediti temporaneamente inesigibili ex art. 20 L. 44/1999
XIII) Sulla dichiarazione di fallimento anche senza previa risoluzione dell’A.D.R.
XIV) Sui rapporti fra concordato preventivo e fallimento
- Cassazione civile, sez. VI, 5 novembre 2020, n. 24660 (Rel Pazzi)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)