Giurisprudenza Ordinata Cronologicamente
Sulla rilevanza della legge n. 96/2006 ai fini della verifica della natura agricola dell’impresa Cassazione civile, sez. I, 10 aprile 2013, n. 8690
“La natura commerciale od agricola di un’impresa, rilevante al fine di stabilire se la stessa sia soggetta a fallimento ai sensi dell’articolo 1, 1° comma del R.D. n. 267 del 1942, deve essere accertata sulla scorta di criteri generali ed uniformi, valevoli per l’intero territorio nazionale. Ne consegue che l’apprezzamento in concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione fra attività agrituristiche ed attività propriamente agricole e della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, in presenza dei quali deve essere esclusa l’assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore che le eserciti, va principalmente condotto alla luce del disposto dell’articolo 2135 comma 3° c.c., integrato dalle previsioni della legge n. 96 del 2006, intitolata “disciplina dell’agriturismo”, che ha fissato i principi fondamentali cui le regioni devono uniformarsi nell’emanare le proprie normative in materia. Entro tale cornice, gli specifici criteri valutativi previsti dalle singole leggi regionali possono sicuramente fungere da supporto interpretativo, ma non possono rivestire carattere decisivo, posto che la loro assunzione a parametri vincolanti per la definizione del rapporto di connessione potrebbe condurre a risultati diversi da regione a regione pur partendo dall’analisi di identici dati aziendali”. (www.dejure.it)

Cassazione civile sez. I - 10/4/2013 n. 8690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. RORDORF Renato - Presidente
- Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere
- Dott. CRISTIANO Magda - rel. Consigliere
- Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere
- Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere
ha pronunciato la seguente:

sentenza
sul ricorso 4362-2012 proposto da:
CURATELA FALLIMENTARE DI P.P. (P.I. (OMISSIS)), in persona del Curatore dott. G.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 72, presso l'avvocato SIMONCINI ALDO, rappresentata e difesa dall'avvocato ANGIOLILLO GIUSEPPE, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
P.P. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di titolare dell'omonima Impresa Agricola, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 39-F, presso l'avvocato BIANCO GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MAGNANI MARZIO, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1440/2011 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 20/12/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2013 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO; udito, per la ricorrente, l'Avvocato GIUSEPPE ANGIOLILLO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito, per la controricorrente, l'Avvocato GIUSEPPE BIANCO che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 20.12.011, ha accolto il reclamo proposto da P.P., titolare dell'omonima azienda agrituristica, contro la sentenza dichiarativa del suo fallimento. La corte territoriale ha rilevato che, poichè l'impresa era iscritta presso la CCIAA nella sezione delle imprese agricole e poichè v'era certificazione, rilasciata dalla Provincia di Mantova, attestante il rapporto di connessione fra l'attività florovivaistica e di produzione di frutta biologica e l'attività agrituristica esercitate dalla reclamante, attesa la prevalenza del volume di lavoro richiesto per la prima attività rispetto a quello richiesto per la seconda, sussisteva presunzione iuris tantum della qualità di imprenditrice agricola della P., che non poteva ritenersi superata in base all'unico elemento contrario evidenziato dal tribunale, costituito dal fatto che l'imprenditrice non rispettava le proporzioni minime fra i prodotti propri e quelli provenienti dall'esterno previste per la somministrazione di pasti e bevande dalla L.R. Lombardia n. 31 del 2008, di disciplina dell'agriturismo. La sentenza è stata impugnata dal curatore del Fallimento di P.P. con ricorso affidato a due motivi, cui la P. ha resistito con controricorso illustrato da memoria. La Villa Sergio & C. s.n.c., creditrice istante, non ha svolto attività difensiva. Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo di ricorso, il curatore denuncia violazione del comb. disp. dell'art. 2135 c.c., art. 1, L. Fall., L. n. 96 del 2006, artt. 2 e 4, L.R. Lombardia n. 31 del 2008, artt. 152 e 157. Deduce che, alla luce del comb. disp. dell'art. 2135 c.c., così come riformato dal D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1 e della L. n. 96 del 2006, art. 2, che ha regolamentato in via generale la materia, l'agriturismo, per rientrare fra le attività agricole per connessione, deve essere connotato dall'utilizzo da parte dell'agricoltore di prodotti, mezzi e risorse provenienti in prevalenza dalla sua azienda. Rileva, ancora, che la L. n. 96 del 2006, art. 4, al comma 2, demanda alle regioni di definire i criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto a quelle agricole, che devono rimanere prevalenti, sicchè il fatto che la norma contenga poi un richiamo al solo parametro del tempo di lavoro necessario per l'esercizio di tali attività non significa che, in concreto, non occorra tener conto di ulteriori elementi di riscontro. Sostiene, pertanto, che la sistematica violazione del disposto della L.R. Lombarda n. 31 del 2008, art. 157, di regolamentazione del settore, il quale stabilisce che, nella somministrazione di pasti e bevande, l'azienda agrituristica deve garantire l'apporto di prodotti propri secondo ben determinate proporzioni, non può essere privo di rilievo al fine dell'esclusione della qualificazione agricola dell'attività di impresa, posto che il requisito della connessione non può essere desunto che in ragione della tipologia del prodotto somministrato. 2) Col secondo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta l'omesso esame del merito da parte della corte territoriale, che si sarebbe limitata a richiamare, ritenendolo decisivo, il certificato della Provincia di Mantova che attestava che l'azienda della P. richiedeva un volume di lavoro agricolo prevalente rispetto a quello richiesto dall'attività agrituristica, ma avrebbe omesso di accertare se il dato certificato corrispondesse o meno a quello reale e non avrebbe tenuto conto delle complessive risultanze della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, devono essere respinti. 3.1) La natura commerciale od agricola di un'impresa, rilevante al fine di stabilire se la stessa sia soggetta a fallimento ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 1, comma 1, deve essere accertata sulla scorta di criteri generali ed uniformi, valevoli per l'intero territorio nazionale. Ne consegue che l'apprezzamento in concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione fra attività agrituristiche ed attività propriamente agricole e della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, in presenza dei quali deve essere esclusa l'assoggettabilità a fallimento dell'imprenditore che le eserciti, va principalmente condotto alla luce del disposto dell'art. 2135 c.c., comma 3, integrato dalle previsioni della L. n. 96 del 2006, intitolata "disciplina dell'agriturismo", che ha fissato i principi fondamentali cui le regioni devono uniformarsi nell'emanare le proprie normative in materia. Entro tale cornice, gli specifici criteri valutativi previsti dalle singole leggi regionali possono sicuramente fungere da supporto interpretativo, ma non possono rivestire carattere decisivo, posto che la loro assunzione a parametri vincolanti per la definizione del rapporto di connessione potrebbe condurre a risultati diversi da regione a regione pur partendo dall'analisi di identici dati aziendali (quanto, ad es., a percentuali di prodotti propri utilizzati od alle proporzioni fra prodotti locali ed esterni). Del resto, aderendo alla tesi del ricorrente, secondo cui l'attività agrituristica potrebbe ritenersi connessa a quella agricola solo nel caso di rispetto delle precise proporzioni nell'uso di prodotti propri e prodotti esterni fissate dalle leggi regionali, dovrebbe giungersi alla conclusione, non ricavabile dal disposto dell'art. 2135 c.c. nè dalla L. n. 96 del 2006, che un'azienda agricola adibita, ad es., a monocoltura od a viticoltura, e dunque impossibilitata ad offrire ai clienti prodotti in prevalenza propri, non possa esercitare detta attività. In realtà, trattandosi di attività para/alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande, la verifica della sua connessione con l'attività agricola non può esaurirsi nell'accertamento dell'utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo (che, ai sensi dell'art. 2135 c.c., connota più specificamente le attività di sola manipolazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti) e va piuttosto compiuta avuto riguardo all'uso, nel suo esercizio, di attrezzature (quali, ad es., i locali adibiti alla ricezione degli ospiti) e di ulteriori risorse (sia tecniche che umane) dell'azienda che sono normalmente impiegate nell'attività agricola. La corte territoriale ha pertanto correttamente ritenuto che la presunzione della natura agricola per connessione (attestata dalla certificazione rilasciata dalla provincia di Mantova) dell'attività di ricezione ed ospitalità esercitata dalla P. all'interno della propria azienda, adibita alla coltivazione di piante e fiori ed alla produzione di frutta biologica, non potesse essere vinta dall'unico elemento contrario evidenziato dal giudice di primo grado, consistente nel mancato rispetto delle proporzioni minime fra prodotti propri e prodotti provenienti dall'esterno fissate dalla legge regionale lombarda per la somministrazione di pasti e bevande. 3.2) Il ricorrente non è stato, d'altro canto, in grado di specificare quali fossero gli ulteriori elementi probatori, emersi dall'espletata ctu ma non valutati dal giudice del merito, atti ad evidenziare la natura commerciale della predetta attività, nè ha saputo chiarire le ragioni per le quali, a fronte dell' istruttoria già espletata in primo grado (gravando, oltretutto, a suo carico l'onere della prova), la corte territoriale avrebbe dovuto disporre un supplemento di indagine: la censura svolta sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 si rivela, pertanto, priva del requisito richiesto, a pena di inammissibilità dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. La novità della questione trattata giustifica la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013. Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2013
Norma

Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo


I.
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.

II.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:

a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;

b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.

III.
I limiti di cui alle lettere a), b e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.

 

(1) Articolo sostituito dall’art. 1 del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, pubb. in Gazz. Uff. 16 ottobre 2007, n. 241, con effetto dal 1° gennaio 2008. La norma si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1° gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente (per il regime transitorio vedi art. 22 D.Lgs. cit.).

Tutta la Giurisprudenza

Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo

 

III) Sulla fallibilità delle società partecipate dagli enti locali

 

VIII) Sul nomen iuris del fallimento del socio

 

IX) Sulle problematiche di giurisdizione in caso di mutamento di sede

 

X) Sul diritto del debitore ad ottenere un termine per la presentazione di una procedura concorsuale negoziale

 

XI) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento

 

XII) Sulla fallibilità in caso di sussistenza di crediti temporaneamente inesigibili ex art. 20 L. 44/1999

 

XIII) Sulla dichiarazione di fallimento anche senza previa risoluzione dell’A.D.R.

 

XVI) Sulla responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali

Legge Fallimentare Completa
TITOLO I
Disposizioni generali
 
TITOLO II
Del fallimento
 
TITOLO III
Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione

TITOLO IV
Dell’ammissione controllata

TITOLO V
Della liquidazione coatta amministrativa

TITOLO VI
Disposizioni penali

TITOLO VII
Disposizioni transitorie
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