Cassazione civile, sez. I, 10 dicembre 2010, n. 24995
Cassazione civile, sez. I, 10 dicembre 2010, n. 24995
Cassazione civile sez. I – 10/12/2010 n. 24995
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. PROTO Vincenzo - Presidente
- Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere
- Dott. RORDORF Renato - Consigliere
- Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere
- Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18.8.2008 la Corte di Appello di Bologna rigettava i reclami proposti da Z.G. e M.G., titolari delle omonime imprese individuali, avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Parma aveva dichiarato il fallimento della ditta individuale Azienda Agricola Casearia Antica Torre di Bocelli dr. Gino, su istanza dello stesso debitore e del creditore A. A.. Il reclamo era stato incentrato sull'insussistenza del presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento, trattandosi di impresa agricola, prospettazione che veniva tuttavia disattesa, in ragione della dimensione dell'impresa; delle modalità di esercizio dell'attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti, realizzate anche attraverso l’acquisto di materie prime presso soggetti terzi; della consistenza delle passività riscontrate (Euro 23.392.031,96), oltre che della qualità dei creditori (banche, personale, fornitori). Avverso la decisione M.G. e Z.G., nella qualità di titolari delle rispettive ditte, proponevano ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso il fallimento. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 2.11.1010.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i motivi di impugnazione i ricorrenti hanno rispettivamente denunciato:
1) violazione degli artt. 2135, 2195, 2221 c.c. della L. Fall., art. 1, del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1, degli artt. 99 e 112 c.p.c., per l’errata qualificazione dell'impresa Antica Torre come impresa commerciale, qualificazione per di più effettuata sulla base di considerazioni del tutto apodittiche; 2) violazione dell'art. 2135 c.c., del D.Lgs. 228 del 2001, art. 1, per il fatto che la qualità non agricola dell'imprenditore sarebbe stata a torto desunta dall'ordinaria acquisizione di materie prime e di mangimi da soggetti terzi; 3) violazione della L. Fall., art. 18, per la mancata ammissione di prove per testi, richieste al fine di dare dimostrazione della natura agricola dell'impresa; 4) vizio di motivazione, con riferimento all'affermata natura commerciale dell'impresa; 5) vizio di motivazione, per l’omessa pronuncia sul punto relativo all'affermata superfluità del giudizio concernente l’esistenza dei requisiti soggettivi di cui alla L. Fall., art. 1, al fine di "escludere l’agrarietà dell'impresa fallenda". Osserva il Collegio che con il primo, il secondo ed il quarto motivo di impugnazione, che possono essere esaminati congiuntamente poichè fra loro connessi, il ricorrente ha sostanzialmente denunciato l’erroneità dei parametri adottati dalla Corte territoriale al fine di escludere la qualità agricola dell'impresa in questione, qualificata viceversa come commerciale e in quanto tale sottoposta alla disciplina del fallimento. Al riguardo va invero considerato che la Corte di Appello, dopo aver correttamente rilevato che l’iscrizione dell'Azienda Agricolo - Casearia "Antica Torre" di B.G. nel registro delle imprese con la qualifica di impresa agricola "non impedisce di accertare lo svolgimento effettivo e concreto di attività commerciale rientrante nei parametri di cui alla L. Fall., art. 1", ha poi ritenuto sussistere i requisiti richiesti dalla legge per la fallibilità dell'impresa, e ciò essenzialmente per le sue dimensioni e la complessa organizzazione in cui è stata articolata la sua attività (si tratta di cinque unità locali, oltre la sede legale, variamente dislocate e titolari di immobili, terreni e fabbricati del valore di circa Euro 20.478.682); per la consistenza degli investimenti effettuati e l’ampiezza del complessivo volume di affari (lo stato patrimoniale al 26.7.2007 registrava un attivo di Euro 21.549.714,48 ed un passivo di Euro 23.392.031,96, mentre il conto economico indicava un costo di Euro 6.745.877,02 per gli acquisti di materie prime e mangimi, a fronte di ricavi per Euro 4.903.560,54); per l’incapacità di provvedere autonomamente all'acquisizione delle materie prime e la conseguente dipendenza da terzi per il soddisfacimento di tale esigenza. I parametri valutativi adottati dalla Corte di merito sono tuttavia errati. Ed infatti va in proposito rilevato che l’originaria configurazione dell'imprenditore agricolo, quale risultante dal contenuto dell'art. 2135 c.c., è stata significativamente modificata a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 (ed integrata - ma la circostanza non rileva in questa sede con la formulazione della nozione di imprenditore ittico dettata nel D.Lgs. n. 226 del 2001). In particolare, premesso che il nuovo testo dell'art. 2135 c.c. è stato emanato con delega conferita al Governo per l’emanazione di decreti contenenti norme per la modernizzazione nei settori delle foreste, della pesca e dell'agricoltura e che tale delega è stata esercitata con la predisposizione dei corrispondenti decreti (rispettivamente nn. 226, 227, 228), si osserva che esso si articola in tre commi (nella precedente versione l’articolo era composto di due commi), il primo dei quali sostanzialmente ripetitivo della vecchia versione (salva la sostituzione del richiamo all'allevamento di animali, anzichè all'allevamento del bestiame), il secondo contenente l’indicazione in dettaglio delle attività da intendere come agrarie, il terzo con la specificazione di quelle connesse a queste ultime. Ai fini che qui interessano le modifiche normative significative sono due, e segnatamente quella contenuta nel comma 1, avente ad oggetto la sostituzione della parola bestiame con la parola animali, cui si è fatto cenno, e quella relativa alla qualità agricola riconosciuta alle attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o ad una fase necessaria di esso, indicazione richiamata nel comma 2 dell'articolo in questione. Sul primo punto occorre invero considerare che il vocabolo "bestiame" era stato interpretato restrittivamente da questa Corte (sia pur con orientamenti non condivisi dalla dottrina prevalente), che aveva reiteratamente affermato la necessità di un collegamento dell'allevamento con il fondo, al fine della qualificazione agraria dell'attività svolta (C. 05/8849, C. 98/10527, C. 94/8078, C. 93/11648, C. 85/1571). La modifica del primo comma nel senso ora richiamato, interpretata anche con riferimento a quanto stabilito nel comma 2, ha determinato dunque un considerevole ampliamento delle ipotesi rientranti nell'ambito di applicazione dello statuto agrario. L’innovazione più rilevante, tuttavia, è quella relativa al richiamo contenuto nell'art. 2135 c.c., comma 2 alle attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, attività che non richiedono un collegamento necessario fra la produzione e l’utilizzazione del fondo, essendo viceversa sufficiente a tale scopo una semplice potenzialità nel senso indicato. Detta modifica deve essere infatti interpretata come espressione dell'intento del legislatore di superare una nozione "fondiaria" dell'agricoltura, basata esclusivamente sulla centralità dell'elemento territoriale, e di sostituirla quindi con una più dinamica ed in linea con la diversa realtà tecnico - economica, in cui assumano valore prevalente quelle strutture produttive che si possono avvalere della terra come uno strumento di supporto. Non sembra dubbio che la sostituzione di una disciplina che prevedeva un collegamento reale della produzione con il fondo, in una prospettiva di strumentalità di quest’ultimo rispetto all'attività imprenditoriale, con altra che viceversa contempla un collegamento anche soltanto virtuale o potenziale con il terreno, possa determinare nell'interprete incertezze in sede applicativa, per effetto dell'ampiezza e della genericità della previsione. Analogamente non sembra dubbio che la nozione di imprenditore agricolo desumibile dall'innovazione normativa in esame sia decisamente più ampia rispetto al passato, essendo sufficiente, al fine di legittimarne la configurazione, che il suo intervento nell'ambito del processo produttivo sia limitato ad un’attività di controllo dell'esistenza delle condizioni necessarie per la verificazione di un esito riconducibile all'andamento in sè del ciclo biologico. Non sembra infine dubbio che tale maggiore ampiezza, proprio in quanto riconducibile a criteri diversi da quelli rispetto ai quali era stata riconosciuta la specialità dell'impresa agricola, può legittimare riserve (peraltro specificamente sollevate da parte della dottrina) in ordine all'affermata assoggettabilità al fallimento del solo imprenditore commerciale (L. Fall., art. 1). Tuttavia i recenti interventi del legislatore aventi ad oggetto la disciplina delle procedure concorsuali (L. n. 80 del 2005, L. n. 5 del 2006, L. n. 169 del 2007) non hanno operato sul punto alcuna modifica, sicchè nella specie un giudizio in ordine all'esistenza o meno dei presupposti indicati dall'art. 2135 c.c. rileva ai fini della decisione sulla fallibilità dell'imprenditore insolvente. La Corte di appello ha viceversa ignorato le innovazioni risultanti dalla modifica dell'art. 2135 c.c. attestandosi, nell'emettere il relativo giudizio, a criteri sostanzialmente quantitativi (in quanto tali compatibili con la precedente formulazione del citato articolo), e pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al medesimo giudice in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, per una nuova delibazione sulla questione prospettata, alla luce dei parametri indicati dall'art. 2135 c.c. attualmente vigente. Restano infine assorbiti il terzo ed il quinto motivo di ricorso.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimitaa. Così deciso in Roma, il 2 novembre 2010. Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2010
Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
I.
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
II.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
III.
I limiti di cui alle lettere a), b e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
(1) Articolo sostituito dall’art. 1 del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, pubb. in Gazz. Uff. 16 ottobre 2007, n. 241, con effetto dal 1° gennaio 2008. La norma si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1° gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente (per il regime transitorio vedi art. 22 D.Lgs. cit.).
Art. 1 L.F. Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
I) Sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 L.F.
II) Sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo
III) Sulla fallibilità delle società partecipate dagli enti locali
IV) Sulla prova del mancato superamento dei limiti-soglia
V) Sui poteri istruttori del giudice
VI) Sugli elementi valutabili ai fini della verifica dei requisiti di fallibilità
VII) Sui rapporti tra l’articolo 18 e l’articolo 1 L.F.
VIII) Sul nomen iuris del fallimento del socio
IX) Sulle problematiche di giurisdizione in caso di mutamento di sede
X) Sul diritto del debitore ad ottenere un termine per la presentazione di una procedura concorsuale negoziale
XI) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento
XII) Sulla fallibilità in caso di sussistenza di crediti temporaneamente inesigibili ex art. 20 L. 44/1999
XIII) Sulla dichiarazione di fallimento anche senza previa risoluzione dell’A.D.R.
XIV) Sui rapporti fra concordato preventivo e fallimento
XV) Sullo stato d' insolvenza
XVI) Sulla responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali
I) Sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 L.F.
II) Sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo
III) Sulla fallibilità delle società partecipate dagli enti locali
IV) Sulla prova del mancato superamento dei limiti-soglia
VI) Sugli elementi valutabili ai fini della verifica dei requisiti di fallibilità
- Cassazione civile, sez. I, 27 maggio 2015, n. 10952
- Cassazione civile, sez. I, 2 dicembre 2011, n. 25870
- Cassazione civile, sez. I, 4 maggio 2011, n. 9760
- Cassazione civile, sez. I, 3 dicembre 2010, n. 24630
- Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22150
- Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22146
- Cassazione civile, sez. I, 29 luglio 2009, n. 17553
VII) Sui rapporti tra l’articolo 18 e l’articolo 1 L.F.
IX) Sulle problematiche di giurisdizione in caso di mutamento di sede
X) Sul diritto del debitore ad ottenere un termine per la presentazione di una procedura concorsuale negoziale
XI) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento
XII) Sulla fallibilità in caso di sussistenza di crediti temporaneamente inesigibili ex art. 20 L. 44/1999
XIII) Sulla dichiarazione di fallimento anche senza previa risoluzione dell’A.D.R.
XIV) Sui rapporti fra concordato preventivo e fallimento
- Cassazione civile, sez. VI, 5 novembre 2020, n. 24660 (Rel Pazzi)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)
- Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 (Rel. Campese)