Giurisprudenza Ordinata Cronologicamente

Cassazione civile, sez. VI, 3 settembre 2013, n. 20169

Sulla consecuzione tra procedure di concordato preventivo e fallimento
Cassazione civile, sez. VI, 3 settembre 2013, n. 20169

“Nel caso in cui all’ammissione da parte del tribunale della domanda di concordato preventivo, proposta ai sensi dell’articolo 160, L.F., ratione temporis vigente, secondo il testo successivo alla legge n. 80 del 2005 e al D.Lgs. n. 5 del 2006, ed anteriore al D.Lgs. n. 169 del 2007, segua la dichiarazione di fallimento ex articolo 162, comma 2, L.F. per effetto della mancata approvazione dei creditori ex articoli 177 e 178, trova applicazione il principio della consecutività delle due procedure concorsuali, costituendo la sentenza di fallimento l’atto terminale del procedimento, non assumendo rilievo l’abbandono – in sede normativa – dell’automatismo di tale dichiarazione, per la quale ora sono necessari l’iniziativa di un creditore o del P.M., il positivo accertamento dell’insolvenza e il comune elemento oggettivo. Pertanto quando si verifichi a posteriori che lo stato di crisi in base al quale era stata chiesta l’ammissione al concordato in realtà coincideva con lo stato di insolvenza, l’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento va retrodatata alla data della presentazione della predetta domanda”. (massima ufficiale) “Qualora, a seguito di una verifica a posteriori, venga accertato che lo stato di crisi era in realtà uno stato di insolvenza, la efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, deve essere retrodatata alla data di presentazione di tale domanda”. (massima redazionale).

Cassazione civile sez. VI - 3/9/2013 n. 20169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente
- Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere
- Dott. BERNABAI Renato - Consigliere
- Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere
- Dott. DE CHIARA Carlo - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15392-2011 proposto da:
MPS GESTIONE CREDITI BANCA SPA (OMISSIS), non in proprio ma in nome e per conto di "BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA", banca incorporante "BANCA ANTONVENETA SPA", in persona del Responsabile dell'Ufficio Periferico e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso lo studio dell'avvocato VOLTAGGIO PAOLO, rappresentata e difeso dall'avvocato AVESANI GIOVANNI giusta procura speciale in calce al ricorso; - ricorrente -

contro
FALLIMENTO Z.P., socio illimitatamente responsabile della fallita ZAGO PIETRO & C. SNC, in persona del Curatore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIGLIENA 2, presso lo studio dell'avvocato FALCONI AMORELLI ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato MUSIO GIORGIO giusta procura speciale a margine del controricorso; - controricorrente - avverso il decreto n. 28/2011 del TRIBUNALE di VERONA del 22/02/2011, depositato il 13/04/2011; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/04/2013 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA; è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
PREMESSO IN FATTO
Che con relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. il Consigliere relatore ha riferito quanto segue: "1. - MPS Gestione Crediti Banca s.p.a., quale mandataria della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., propose opposizione allo stato passivo del fallimento di Z.P., socio illimitatamente responsabile della Zago Pietro & C. s.n.c., dichiarato fallito unitamente alla società. Contestò l'ammissione solo in via chirografaria il credito di Euro 62.896,76, per il quale era stata iscritta ipoteca giudiziale sui beni personali del sig. Z. quale fideiussore della predetta società, ipoteca ritenuta revocabile dal giudice delegato, su eccezione della creditrice concorrente Prima Carni s.r.l., in quanto iscritta nei sei mesi precedenti l'ammissione della società fallita alla procedura di concordato preventivo, ancorchè oltre i sei mesi dalla dichiarazione del fallimento. Il Tribunale di Verona ha rigettato l'opposizione e l'opponente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, cui la curatela ha resistito con controricorso.
2.
- IL ricorso pone questioni già esaminate da questa Corte, in fattispecie del tutto analoga, con la sentenza n. 2335 del 2012, il cui contenuto viene dunque qui di seguito integralmente riproposto.
2.1.
- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 147 e 67, in riferimento agli artt. 5 e 160, L. Fall. per avere il Tribunale, in applicazione del principio della consecuzione delle procedure, fatto retroagire gli effetti del fallimento al momento dell'ammissione della società fallita alla procedura di concordato preventivo, con conseguente revoca dell'ipoteca iscritta oltre i sei mesi antecedenti il fallimento, ma nei sei mesi antecedenti l'ammissione alla predetta procedura. Deduce che l'entrata in vigore della riforma ha completamente mutato i presupposti della procedura di concordato: lo stato di crisi in luogo dell'insolvenza. Talchè non sarebbe più ammessa la retrodatazione degli effetti del fallimento. La consecuzione delle procedure sarebbe altresì esclusa in forza della norma di cui alla L. Fall., art. 67, n. 3, lett. e), la quale dispone che non sono revocabili gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo o di un accordo ex art. 182 bis, L. Fall.. Se fosse applicabile la consecuzione tale norma sarebbe inutile perchè si tratterebbe di atti posti in essere "già in stato di insolvenza" (se questa retroagisse) e sarebbe applicabile l'art. 44, L. Fall..
2.2.
- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 147 e 67, in relazione agli artt. 5 e 160, L. Fall., per avere il Tribunale revocato l'ipoteca iscritta dalla ricorrente sui beni del sig. Z., senza aver accertato lo stato di insolvenza del debitore, dichiarato fallito solo ed esclusivamente quale socio illimitatamente responsabile della Zago Pietro & C. s.n.c. Solo dalla dichiarazione di fallimento del socio potevano decorrere i termini di cui all'art. 67, L. Fall..
2.3.
- Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 96 e 67 L. Fall., anche in relazione all'art. 99 c.p.c. e all'art. 111 Cost., "per avere il giudice delegato revocato in via breve l'ipoteca iscritta dalla ricorrente sui beni della società fallita senza averne i poteri e in palese violazione del principio del contraddittorio". Deduce che l'eccezione non era stata sollevata dal curatore fallimentare, bensì da un "terzo creditore", che l'azione revocatoria è costitutiva e che la parte che aveva il potere di promuoverla non l'ha promossa.
2.4.
- Il primo motivo è infondato perchè questa Corte, con pronuncia alla quale il Collegio intende dare continuità, ha già avuto modo di precisare che "nel caso in cui all'ammissione da parte del tribunale della domanda di concordato preventivo, proposta ai sensi dell'art. 160, L. Fall. - ratione temporis vigente, secondo il testo successivo alla L. n. 80 del 2005 e al D.Lgs. n. 5 del 2006, ed anteriore al D.Lgs. n. 169 del 2007, segua la dichiarazione di fallimento ex art. 162, comma 2, L. Fall. per effetto della mancata approvazione dei creditori ex artt. 177 e 178, trova applicazione il principio della consecutività delle due procedure concorsuali, costituendo la sentenza di fallimento l'atto terminale del procedimento, non assumendo rilievo l'abbandono - in sede normativa - dell'automatismo di tale dichiarazione, per la quale ora sono necessari l'iniziativa di un creditore o del P.M., il positivo accertamento dell'insolvenza e il comune elemento oggettivo. Pertanto quando si verifichi a posteriori che lo stato di crisi in base al quale era stata chiesta l'ammissione al concordato in realtà coincideva con lo stato di insolvenza, l'efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento va retrodatata alla data della presentazione della predetta domanda" (Cass. 18437/2010). In particolare, ha precisato la pronuncia richiamata che "le due procedure debbono essere equiparate, avendo a base la medesima situazione sostanziale, non potendosi dare decisivo rilievo agli aspetti procedurali della iniziativa di un creditore o del pubblico ministero ed al fatto che lo stato di insolvenza deve essere effettivamente accertato, quando la dichiarazione di fallimento si palesa come l'unico sbocco necessario della crisi dell'impresa. L'art. 111, comma 2, L. Fall. (introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006) dispone che sono considerati debiti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge. La norma, come si evince dal dato testuale, considera prededucibili anche debiti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo e si riferisce chiaramente alla ipotesi in cui alla procedura di concordato preventivo sia seguito il fallimento dell'imprenditore. Con tale disposizione, come giustamente affermato da condivisibile dottrina, si è preso atto legislativamente della continuità delle procedure consecutive, il che impone, essendo tali procedure volte ad affrontare la medesima crisi - ritenuta in un primo momento suscettibile di regolazione attraverso un accordo con i creditori e successivamente risultata tale da condurre alla liquidazione fallimentare - di valutare in maniera unitaria determinati aspetti della disciplina fallimentare. Ne deriva che, qualora, a seguito di una verifica a posteriori venga accertato, con la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore, che lo stato di crisi in base al quale ha chiesto la ammissione al concordato preventivo era in realtà uno stato di insolvenza, la efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, deve essere retrodatata alla data di presentazione di tale domanda, atteso che la ritenuta definitività anche della insolvenza che è alla base della procedura minore, come comprovata, ex post, dalla sopravvenienza del fallimento, e, quindi, l'identità del presupposto, porta ad escludere la possibilità di ammettere, in tal caso, l'autonomia delle due procedure". Nessun rilievo, infine, può essere attribuito alla norma richiamata dalla ricorrente a proposito degli atti e pagamenti non revocabili ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. e), L. Fall., perchè essa - all'evidenza - si riferisce ad atti e pagamenti posti in essere in "esecuzione" di un concordato (o accordo di ristrutturazione), è diretta ad agevolare le soluzioni concordate dell'insolvenza e presuppone la previsione dell'atto nella proposta (nel piano), come tale implicitamente autorizzato con l'ammissione, laddove gli atti non autorizzati neppure ex art. 167, L. Fall. sono inefficaci (Cass. 13759/2007) e possono comportare la revoca dell'ammissione alla procedura (art. 173, comma 3, L. Fall.). Non appare congruente, dunque, il richiamo all'art. 44, L. Fall..
2.5.
- Il secondo motivo è infondato alla luce del principio giurisprudenziale per il quale nel caso in cui dopo l'ammissione di una società di persone all'amministrazione controllata (ora abrogata) o al concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento della medesima società e dei soci illimitatamente responsabili ai sensi dell'art. 147, L. Fall.., anche per l'esercizio dell'azione revocatoria dell'atto personale del socio illimitatamente responsabile il termine di cui all'art. 67, L. Fall. decorre dal decreto di ammissione della società alla prima procedura concorsuale e non dalla data della sentenza di fallimento del socio, atteso che il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della società comporta che ai fini della dichiarazione di fallimento abbia rilevanza unicamente lo stato d'insolvenza della società, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato d'insolvenza personale del socio (Cass. 7157/1994; definito ius receptum da Cass. Sez. un. 8257/2002; cfr. anche Cass. 2983/1979, 3614/1979, 5025/1991, 4240/1994, 7157/1994,189/1995, 4347/1996). Tale principio è indubbiamente applicabile anche alla luce della disciplina risultante dalla riforma della legge fallimentare. Nè appare calzante il richiamo della ricorrente a Cass. 7273/2010, emessa in fattispecie diversa da quella ora in esame (in quella vicenda si trattava di creditore personale del socio e, inoltre, il socio stesso era stato erroneamente ammesso, unitamente alla società, alla procedura di concordato preventivo; per converso, nella presente fattispecie la banca ricorrente ha chiesto l'ammissione al passivo del fallimento del socio di un credito derivante dalla fideiussione prestata dal socio stesso in favore della società). Può essere ribadito, dunque, che "vi è nella fattispecie della consecuzione di procedure quel referente normativo - ... insussistente, invece, per la sentenza in estensione - che consente, in via eccezionale, la retrodatazione dell'efficacia della sentenza di fallimento. Dovendosi, per di più, escludere nella prima ipotesi - a differenza che nella seconda - che sia arrecato alcun vulnus all'affidamento dei terzi. Ai quali sono invero noti sin dall'inizio - e, cioè, dalla data stessa di apertura della prima procedura - i soggetti potenzialmente soggetti al fallimento, in esito a quella" (Cass. Sez. un. 8257/2002, in motivaz.).
2.6.
- Anche il terzo motivo è infondato, perchè da tempo questa Corte ha affermato che al creditore concorrente che abbia proposto impugnazione allo stato passivo è consentito esercitare tutte le azioni volte ad escludere o postergare i crediti ammessi, ivi compresa l'azione revocatoria, dovendosi egli considerare portatore non solo del proprio interesse, ma anche di quello degli altri creditori (Cass. 8827/1998, 1392/1979). Se, dunque, il creditore, proponendo impugnazione, può eccepire la revocabilità del titolo di prelazione del credito ammesso, a maggior ragione può contestarne l'ammissione dinanzi al giudice delegato, il quale non può non tenere conto dell'eccezione stessa e deve decidere su di essa così come disposto dall'art. 95, comma 3, L. Fall., secondo cui il giudice delegato decide sulle domande tenuto conto delle eccezioni del curatore, di quelle rilevabili d'ufficio e di quelle sollevate dagli altri interessati"; che tale relazione è stata comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti costituite; che io solo avvocato di parte ricorrente ha presentato memoria. Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che quanto affermato nella predetta relazione, e condiviso dal Collegio, non è superato dalle considerazioni svolte nella memoria di parte ricorrente; che pertanto il ricorso va respinto, con condanna della ricorrente alle spese processuali, liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 aprile 2013. Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2013

Norma

Art. 179 L.F. Mancata approvazione del concordato



I.
Se nei termini stabiliti non si raggiungono le maggioranze richieste dal primo comma dell’articolo 177, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell’articolo 162, secondo comma.
II.
Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’articolo 180 per modificare il voto (1).
 

 

(1) Comma aggiunto dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 22 giugno 2012, n. 83. La modifica si applica ai procedimenti di concordato preventivo dal 11 settembre 2012 (art. 33, comma 3, D.L. 83/2012 cit.).
Prassi
In questo articolo non sono presenti elementi di prassi.

Tutta la Giurisprudenza

Art. 179 L.F. Mancata approvazione del concordato

Art. 179 L.F. Mancata approvazione del concordato

 

I) Sulla consecuzione di procedure

 

II) Sul diniego del voto favorevole

 

III) Sul rapporto tra concordato preventivo e fallimento

 

IV) Sulla reclamabilità del provvedimento di revoca per mancata approvazione del concordato da parte dei creditori

 

V) Sul divieto di apportare modifiche alla proposta concordataria

 

VI) Sull’accertamento delle maggioranze

 

VII) Sulla legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento

 

IX) Sull’interesse dei creditori al concordato preventivo ed all’impugnazione della conseguente sentenza di fallimento


 
 
Legge Fallimentare Completa
TITOLO I
Disposizioni generali
 
TITOLO II
Del fallimento
 
TITOLO III
Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione

TITOLO IV
Dell’ammissione controllata

TITOLO V
Della liquidazione coatta amministrativa

TITOLO VI
Disposizioni penali

TITOLO VII
Disposizioni transitorie
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