Giurisprudenza Ordinata Cronologicamente
Sugli atti posti in essere su autorizzazione del giudice delegato
Cassazione civile, sez. III, 3 agosto 2012, n. 13944

“Non è ammissibile, a tutela della garanzia generica costituita dal patrimonio del debitore per un credito preesistente alla procedura di concordato preventivo, l’azione revocatoria ordinaria contro un atto di disposizione di un bene che fa parte dell’attivo del concordato di una società di capitali per essere stato ceduto in garanzia del concordato stesso dai terzi debitori dell’attore in revocatoria e, pertanto, contro un atto posto in essere su autorizzazione del giudice delegato dal procuratore speciale dei proprietari debitori, intervenuto anche quale commissario giudiziale nell’interesse della società e dei creditori della stessa, attesa la funzionalità del negozio all’attuazione del concordato preventivo, omologato con sentenza passata in giudicato.” (massima ufficiale)

Cassazione civile sez. III - 3/8/2012 n. 13944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. UCCELLA Fulvio - Presidente
- Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere
- Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere
- Dott. BARRECA Giuseppina L. - Consigliere
- Dott. CARLUCCIO Giuseppa - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21878-2006 proposto da: M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G. BELLI 39, presso lo studio dell'avvocato LEMBO ALESSANDRO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato NATALI ELMI PAOLO giusta delega in atti; - ricorrente - contro FONDIARIA SAI S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante e per esso del dirigente Dott. B.L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VIGNA STELLUTI 176, presso lo studio dell'avvocato IANNETTI GIANLUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato BECHI FRANCO giusta delega in atti; - controricorrente - e
contro
C.G. (OMISSIS), C.R. (OMISSIS), CH.RO. (OMISSIS), C.A.M. (OMISSIS), C.M.M. (OMISSIS), F.F. (OMISSIS); - intimati - avverso la sentenza n. 342/2006 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/02/2006, R.G.N. n. 2166/A/03; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/06/2012 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO; Udito l'Avvocato ALESSANDRO LEMBO; udito l'Avvocato GIANLUIGI IANNETTI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.
La Fondiaria Assicurazioni Spa (poi La Fondiaria SAI Spa) il 16 marzo 1985 pagò, quale garante dei Pastificio Chelucci, di Renato e Ameglio Chelucci (società di fatto), la somma di circa 24 milioni di lire al Mediocredito Regionale per la Toscana e, essendo a sua volta garantita da C.R., A., G., Ro. e M., ne chiese a questi vanamente il rimborso. Per questo credito - sul presupposto che i debitori si erano spogliati dei beni nel corso degli anni - la Fondiaria agì in revocatoria (nel dicembre 1990) nei confronti dell'atto (del 31 luglio 1989) di compravendita di un immobile venduto, nelle rispettive quote di proprietà, da R. e dagli eredi di A. ( Ro., M.M. e A.M.), ad M. A., nuora di R. e moglie del figlio di questi G., citando in giudizio i C., la M. e, per quanto occorre, F.F., Commissario Giudiziale della IPAC srl. 1.1. Il Tribunale, nella contumacia di tutti i convenuti ad eccezione della M., rigettava la domanda. Riteneva la vendita rientrante nella procedura di liquidazione dell'attivo della IPAC srl, nell'ambito della procedura di concordato preventivo che, nel 1985, aveva riguardato quest'ultima società, essendo il bene compreso, insieme ad altri, nell'attivo, quale bene di proprietà dei C., garanti della procedura. Premetteva che la IPAC srl, poi sottoposta a sua volta a concordato preventivo, aveva precedentemente (1980) assunto gli oneri di altro concordato preventivo che aveva riguardato R. e C.A., quali titolari del Pastificio Chelucci.
2.
L'impugnazione della Fondiaria veniva accolta dalla Corte di appello di Firenze (sentenza del 28 febbraio 2006), nella contumacia di tutti, ad eccezione della M..
3.
Avverso la suddetta sentenza, M. propone ricorso per cassazione con due motivi, esplicati da memoria. Resiste con controricorso la Fondiaria. Gli altri intimati non svolgono difese.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.
La Corte di merito, al contrario del giudice di primo grado, ha ritenuto che oggetto della revocatoria non è un atto del concordato preventivo - nè del concordato del Pastificio Chelucci, nè del concordato della IPAC srl - ma un atto intervenuto tra i C. e la M.. La conclusione si fonda su argomentazioni così sintetizzabili: - l'IPAC non è mai divenuta proprietaria del bene in argomento; - con il concordato preventivo del Pastificio, i C. avevano assunto l'obbligo giuridico di trasferire i beni all'assuntore IPAC srl, con tempi, modi e condizioni determinati dal Tribunale, ma tale trasferimento non era avvenuto; la stessa IPAC, intraprendendo un giudizio ex art. 2932 cod. civ. nei confronti di R. per il trasferimento dei beni caduti in concordato, ha riconosciuto che non erano ancora di sua proprietà; - il rilascio della procura irrevocabile a vendere al commissario giudiziale è uno dei possibili strumenti di perseguimento della finalità dell'istituto, e il contratto di vendita posto in essere in virtù di tale procura, anche se coinvolge l'interesse del creditore- procuratore, intercorre esclusivamente tra debitore e terzo acquirente; - manca la trascrizione di un titolo di attribuzione di un tale diritto di proprietà, con conseguente non opponibilità a terzi; - la questione è se l'obbligo giuridico di vendere (con il concordato C.) metta i contraenti al riparo della revocatoria; - la situazione è equiparabile al caso di revocatoria avverso il definitivo in presenza di un preliminare, e con riferimento alla revocatoria fallimentare, la giurisprudenza ha escluso la rilevanza dell'atto dovuto; - nè può, come sostenuto dall'acquirente, ritenersi l'atto avvenuto in esecuzione del concordato preventivo e con l'autorizzazione del giudice perchè, affinchè il problema si potesse porre, sarebbe stata necessaria l'autorizzazione del giudice delegato del concordato C.; invece, l'acquirente fa riferimento all'autorizzazione rilasciata dal giudice delegato del concordato IPAC per la vendita dei suoi beni, diversi da quelli rimasti in proprietà dei C.. Con riferimento alle condizioni della azione revocatoria, premesso che non viene in discussione il credito della Fondiaria e la sua anteriorità rispetto alla vendita, la Corte di merito ha ritenuto che la vendita del bene determinò la riduzione della garanzia patrimoniale dei debitori, per i quali, pacificamente, era pendente la procedura di concordato. Quanto all'elemento soggettivo ha ritenuto evidente: il movente dell'atto di salvare il bene dal pericolo dell'esecuzione, stanti le passività che avevano indotto a chiedere la procedura di concordato; lo stato di preinsolvenza, che non poteva non essere noto alla nuora, coniuge di uno dei debitori. Ha valutato di nessuna influenza la separazione dei beni tra i coniugi e la non conoscenza del debito rimasto insoluto nei confronti della Fondiaria.
2.
Con due motivi, strettamente collegati, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2901 cod. civ. e vizi motivazionali. Nel censurare la sentenza impugnata, mette in evidenza, essenzialmente, l'irrilevanza della titolarità della proprietà del bene oggetto dell'atto revocando, nonchè la mancanza del profilo soggettivo dell'azione revocatoria, per essere stato posto in essere l'atto con la partecipazione del commissario giudiziale della procedura di concordato preventivo dell'IPAC srl, autorizzata dal giudice delegato, con destinazione del ricavato agli impegni assunti con il concordato omologato; con la conseguenza che i C. avrebbero venduto per adempiere le obbligazioni assunte con il concordato.
2.1.
Al contrario di quanto deduce la controricorrente, non è applicabile ratione temporis l'art. 366 bis cod. proc. civ., che prescrive i quesiti di diritto, essendo stata la sentenza depositata il 28 febbraio 2006, prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, che tale articolo ha introdotto. Il ricorso è fondato e va accolto sulla base delle argomentazioni che seguono.
3.
Dagli atti di causa, richiamati dalle parti, (si tratta di atti prodotti da entrambe le parti; pertanto, si farà riferimento al fascicolo della parte solo quando la produzione è esclusiva), emerge quanto segue.
3.1.
Nel 1980 venne chiesto (26 gennaio) e fu omologato (7 luglio) il concordato preventivo del Pastificio Chelucci (società di fatto tra R. e C.A.): con assunzione degli obblighi derivanti dal concordato da parte della IPAC srl; con devoluzione di tutti i beni dei proponenti (compresi gli immobili civili in comproprietà indivisa) a favore della stessa, secondo le modalità e l'autorizzazione del giudice delegato, e destinazione dei corrispettivi alla liquidazione del concordato, a mezzo del commissario giudiziale; con liberazione dei proponenti al momento della dichiarazione di adempimento del concordato. Fu espressamente previsto che il trasferimento degli immobili civili all'assuntore, mediante accollo di passività, potesse essere consentito solo se "mediante lo stesso possa essere conseguito l'integrale adempimento del concordato" (punto 4 proposta di concordato; non modificata in sede di omologa).
3.2.
Nel novembre del 1984, il Mediocredito Regionale, premesso che la IPAC srl, quale assuntore del concordato, si era accollato il debito del Pastificio Chelucci, chiese alla Fondiaria - sulla base della polizza fideiussoria - il pagamento di circa 24 milioni di lire; somma relativa a interessi eccedenti la misura legale, non ripetibili dal concordato (doc. non numerato, fasc. Fondiaria).
3.3.
Con decreto del 2 marzo 1985 venne dichiarato adempiuto il concordato C. e definita la procedura (doc. 3 fase. Fondiaria).
3.4.
Il 16 marzo 1985 La Fondiaria pagò, quale garante del Pastificio Chelucci, di R. e C.A., la somma richiesta da Mediocredito.
3.5.
Nel luglio 1985, l'IPAC srl chiese il concordato preventivo, che fu omologato nel maggio 1986. Tra le garanzie offerte per l'adempimento, oltre alle garanzie personali di terzi, vi erano i beni di proprietà indivisa di C.R. e di Ro., M.M. e A.M. (eredi di A.), messi a disposizione per l'adempimento del concordato; tra questi beni rientra quello trasferito con l'atto revocando. Nelle more dell'omologa del concordato IPAC (il 9 novembre 1985) C.R. e gli eredi di A. conferirono procura irrevocabile a vendere gli immobili di civile abitazione di proprietà, anche nell'interesse dell'IPAC, al Commissario giudiziale ( F.) della procedura di concordato dell'IPAC in corso di omologazione, a condizione che tale concordato fosse omologato, con l'autorizzazione a versare le somme occorrenti per l'adempimento del concordato suddetto. Su richiesta della IPAC srl (del 3 luglio 1989, doc. 12 M.) il giudice delegato alla procedura IPAC (il 28 luglio 1989, doc. 12 M.) autorizzò a vendere - tramite l'intervento del commissario giudiziale - i beni immobili compresi nell'attivo della procedura, tra cui quello revocando, richiamando la richiesta, che rinviava alla relazione tecnica (doc. 11 M.). La vendita revocanda del 31 luglio 1989 fu stipulata tra C. R. e gli eredi di A., rappresentati da F., in virtù di procura irrevocabile a vendere, che intervenne anche nella qualità di commissario giudiziale della procedura di concordato della IPAC, e la M.. Nell'atto è richiamata la richiesta di autorizzazione al giudice delegato del concordato IPAC per la vendita - al fine di regolare le pendenze con alcuni residui creditori - dei beni immobili di proprietà dei venditori, quali garanti della suddetta procedura.
4.
La sentenza impugnata, invece, non distingue tra i due concordati; non considera che i beni immobili civili di proprietà indivisa dei C., offerti in cessione per l'adempimento del concordato IPAC, costituivano garanzia su beni di terzi rispetto alla società di capitali IPAC; attribuisce esclusivo rilievo alla titolarità dei beni in capo ai C.; in tal modo nega che l'autorizzazione alla vendita, all'interno di tale procedura, riguardi i beni in argomento.
4.1.
Dalla documentazione prima richiamata risulta quanto segue. Il credito, incontestato, della Fondiaria, posto alla base dell'azione revocatoria, nacque - dopo la chiusura del concordato preventivo del Pastificio Chelucci - nei confronti di quei C. ( R., A., G., Ro. e C.M.) dai quali la Fondiaria era garantita in solido, per aver pagato al Mediocredito, quale garante sulla base di fidejussione, la somma non ripetibile in sede di concordato. Considerato che l'atto revocando è un atto di disposizione di R. e degli eredi di A., rileva il credito vantato nei confronti di questi ultimi, rispetto ai quali la Fondiaria agisce, assumendo come lesa la garanzia generale costituita dal loro patrimonio. I beni costituenti la generale garanzia patrimoniale dei debitori ( R. e eredi di A.), tra i quali quello oggetto dell'atto revocando, dopo la nascita del credito, erano entrati a far parte dell'attivo del concordato preventivo della IPAC srl, omologato, quali beni di terzi (rispetto alla società di capitali sottoposta a concordato preventivo) posti a garanzia dell'adempimento del concordato, mediante cessione di beni. Nell'ambito della procedura IPAC, il giudice delegato ne autorizzò la vendita, con la partecipazione del commissario giudiziale, che aveva precedentemente ottenuto procura irrevocabile a vendere da parte dei proprietari.
5.
La giurisprudenza della Corte di legittimità, da tempo, ha equiparato la cessione, nel concordato, dei beni di un terzo alla cessione, nel concordato, dei beni dell'imprenditore insolvente. Infatti, si è affermato che, "qualora la proposta di concordato preventivo dell'imprenditore insolvente offra, a garanzia dei creditori, anche la cessione dei beni di un terzo non debitore, tale cessione va equiparata, tanto sul piano sostanziale che su quello processuale, alla cessione dei beni dello stesso debitore, prevista dall'art. 160 legge fallimentare quale condizione del concordato, essendo entrambe validamente ed efficacemente dirette a realizzare le finalità proprie di detta procedura concorsuale e, quindi, rimane a questa vincolata e soggetta alle sue regole. Pertanto in ordine ai beni ceduti dal terzo non debitore, il Commissario liquidatore ha gli stessi poteri di disposizione che gli competono sui beni ceduti dal debitore ammesso al concordato, mentre in relazione alla cessione medesima sono irrilevanti i motivi che abbiano determinato l'intervento del terzo, ove questi motivi non si siano tradotti in patti e clausole del concordato stesso" (Nella specie, allora esaminata, l'imprenditore insolvente era una società di capitali, il terzo cedente un socio ed amministratore della società, Cass. 11 maggio 1978, n. 2295). 5.1.
Nella specie ora all'attenzione della Corte, la proposta di concordato preventivo dell'IPAC srl offriva, a garanzia dei creditori, anche la cessione dei beni di terzi non debitori ( C.R. e eredi A.). La sentenza di omologa non nominava un liquidatore (art. 182 L.F.); dava atto che nell'attivo c'erano i beni personali di C.R. ed eredi A.; che, per l'adempimento, erano messi a disposizione beni immobili di terzi (quelli dei C., terzi rispetto alla società); rimetteva al giudice delegato la determinazione delle modalità di esecuzione del concordato. Questi, come si è visto, ha autorizzato la vendita, posta in essere dal commissario giudiziale, che aveva procura speciale a vendere nell'interesse del concordato, così attuando la finalità del concordato di liquidare i beni destinati alla sua attuazione.
5.2.
Data la nascita del credito per cui si agisce in revocatoria dopo la procedura di concordato preventivo dei C., come persone fisiche, e l'inserimento nell'ambito della procedura della società IPAC srl dell'atto revocando di disposizione dei beni, del cui attivo erano parte integrante, ne deriva che nessun rilievo può assumere, ai fini della presente controversia, la sorte degli stessi beni nell'ambito della procedura del concordato C.. Ciò che rileva è che tali beni siano entrati a far parte dell'attivo del concordato IPAC, come beni appartenenti a terzi e che, nell'ambito della procedura IPAC, siano stati alienati per l'adempimento del concordato. Non rileva, invece, che gli stessi non siano stati trasferiti all'assuntore nell'ambito del concordato C. (dove, peraltro il loro trasferimento all'assuntore mediante accollo di passività era consentito solo per poter conseguire l'integrale adempimento del concordato) o che l'obbligo di trasferimento degli stessi all'assuntore sia stato confermato anche con scrittura privata (atto del 12 aprile 1985, relativo a R., per la parte di proprietà, doc. 3 Fondiaria) successiva alla chiusura del concordato C. (e precedente il concordato IPAC), e che sia stato accertato con sentenza di primo grado del 18 settembre 1997 (della quale si sconosce se passata in giudicato), richiamata anche dalla sentenza per sottolineare che la proprietà era rimasta in capo ai C..
5.3.
Inoltre, stante il vincolo di destinazione dei beni all'adempimento del concordato preventivo della società IPAC, cui corrisponde un vincolo di indisponibilità degli stessi per fini diversi dall'adempimento del concordato, non rileva in sè la titolarità degli stessi in capo ai soggetti obbligati nei confronti della Fondiaria, essendo pacifico che nel concordato preventivo con cessione dei beni non si ha un trasferimento di diritti reali, ma solo un mandato che il debitore, o il terzo cedente nell'interesse del debitore, conferisce ai creditori, per la gestione e liquidazione dei beni (Cass. 1 giugno 1999, n. 5306).
5.4.
Così delimitata la fattispecie all'attenzione della Corte, la questione di diritto è "se sia ammissibile, a tutela della garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio del debitore per un credito (non contestato nella specie) preesistente alla procedura di concordato preventivo, l'azione revocatoria ordinaria, ex art. 2901 cod. civ., contro un atto di disposizione di un bene, che fa parte dell'attivo di un concordato preventivo omologato di una società di capitali per essere stato ceduto (in garanzia del concordato) da terzi (debitori di chi esperisce l'azione pauliana), e, pertanto, contro un atto posto in essere - su autorizzazione del giudice delegato della procedura concorsuale - dal procuratore speciale dei proprietari/debitori, intervenuto anche quale commissario giudiziale nell'interesse della società e dei creditori della stessa". Il Collegio ritiene debba darsi risposta negativa al quesito, con conseguente accoglimento del ricorso avverso la sentenza che tale principio ha disatteso. La questione, specificamente nuova, trova soluzione nell'ambito di un terreno che la Corte ha già arato.
6.
Con riferimento al concordato preventivo, la Corte ha escluso l'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di cessione dei beni a favore del concordato posto in essere da un terzo, una volta che il concordato fosse stato omologato. Ha precisato, rispetto al creditore che esperisce l'azione pauliana, il quale sia anche creditore concordatario oltre che creditore del conferente i beni, che la sentenza di omologa lo vincola, se non contestata con i rimedio dell'opposizione di cui all'art. 180 L.F. (Cass. 3 ottobre 1988, n. 5327). Nella suddetta pronuncia si è affermato il seguente principio di diritto "Qualora la proposta di concordato preventivo contempli la cessione non soltanto dei beni del proponente, ma anche di beni di un terzo, con la dichiarazione di questi di impegnarsi al trasferimento, ed il concordato medesimo venga poi approvato ed omologato in tali termini, colui che cumuli la qualità di creditore concordatario dissenziente e di creditore di detto terzo non può esperire azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ., avverso l'indicato impegno, perchè il relativo atto è operativo a seguito della sentenza di omologazione e tale sentenza è vincolante per chi sia creditore concordatario (od anche creditore concordatario), ove non contestata con lo specifico rimedio della opposizione di cui all'art. 180 della legge fallimentare". Inoltre, in generale, rispetto al creditore del terzo conferente che esperisce l'azione pauliana, eventualmente pregiudicato dalla cessione, che non sia stato o che non poteva essere parte nel processo di omologazione, la Corte ha affermato che non è concesso altro rimedio, per la rimozione di tale pregiudizio, che quello dell'opposizione ex art. 404 cod. proc. civ. (Cass. 11 aprile 1991, n. 3822). Secondo tale pronuncia "In materia di concordato preventivo, l'offerta di cessione dei beni costituisce inizialmente un presupposto della proposta di concordato, non ancora attuativo della dismissione dei beni stessi, nè di un vincolo di indisponibilità su di essi in favore della massa dei creditori, mentre, una volta che si sia espressa la maggioranza dei creditori e sia intervenuta omologazione da parte del tribunale, diventa oggetto di statuizione, suscettibile di passare in cosa giudicata, con la conseguenza che, verificatosi tale evento, al terzo, eventualmente pregiudicato dalla cessione e che non sia stato parte nel processo di omologazione o non poteva esserlo, non è concesso altro rimedio, per la rimozione di tale pregiudizio, che quello dell'opposizione ex art. 404 cod. proc. civ., escludendosi, invece, l'ammissibilità dell'azione revocatoria ordinaria".
6.1.
Nell'escludere l'azione revocatoria nei confronti dell'atto di cessione dei beni, a favore del concordato, posto in essere da un terzo, la Corte ha messo in evidenza come, in realtà, oggetto di tale azione fosse la sentenza di omologa, non avendo l'atto in argomento una sua autonoma efficacia al di fuori del procedimento che si conclude con l'omologa. E, dalla presenza nell'ordinamento di rimedi esclusivi per impedire che si formino, o per rimuovere, gli effetti della sentenza di omologa - opposizione all'omologazione da parte di qualunque interessato (art. 180 L.F.) ed eventuale appello avverso la sentenza di omologa (art. 183 L.F.), ovvero opposizione di terzo alla stessa sentenza (art. 404 cod. proc. civ.) da parte del soggetto che non sia stato o non abbia potuto essere parte del processo di omologazione - ha tratto la non configurabilità di una azione autonoma, quale la revocatoria, per raggiungere gli stessi risultati. Rilievo centrale nella decisione assume la statuizione contenuta nella sentenza di omologa, suscettibile di passare in "cosa giudicata", obbligando tutti i potenziali soggetti del rapporto concorsuale, anche rimasti estranei alla relativa pronuncia in virtù della efficacia erga omnes che la caratterizza (art. 184, comma 1, L.F.).
6.2.
Le suddette conclusioni possono essere estese al caso in argomento, nel quale oggetto dell'azione pauliana è un atto attuativo del concordato preventivo omologato, nell'attivo del quale sono confluiti beni di terzi per effetto della cessione.
6.2.1,
Viene in rilievo la equiparazione, sul piano sostanziale e processuale, della cessione dei beni del terzo alla cessione dei beni del debitore sottoposto a concordato (cfr. p. 5). La forma atipica di cessione dei beni, con implicita funzione di garanzia che si riverbera nella causa, non modifica la causa del negozio che resta il soddisfacimento delle obbligazioni del debitore concordatario. Così la cessione dei beni del terzo, come la cessione dei beni del debitore concordatario, costituisce mezzo finalizzato all'attuazione delle finalità giuridiche del concordato ed è soggetto alle sue regole, inserendosi il terzo, quale garante, nel procedimento con una posizione e legittimazione pari a quella del debitore, quale parte del processo di omologazione. I beni del terzo ceduti, come quelli del debitore concordatario, sono assoggettati definitivamente al vincolo di destinazione per effetto della sentenza di omologazione e sono destinati ad essere liquidati perchè possano essere soddisfatti i creditori attraverso la distribuzione del ricavato. La fase del procedimento successiva alla omologazione si traduce in una liquidazione patrimoniale necessaria e funzionale alla procedura, attraverso l'opera di un liquidatore nominato dal tribunale (o, come nella specie, del commissario giudiziale munito di mandato irrevocabile a vendere) affinchè i creditori possano soddisfarsi sulle somme ricavate. Con conseguente sottrazione dei beni alla disponibilità dell'insolvente, o del terzo garante che ha ceduto i beni, i quali, pur conservando la titolarità dei beni fino all'alienazione, non hanno più alcun potere di decidere la vendita e di determinarne il tempo, le modalità ed il prezzo, ovvero di scegliere il soggetto acquirente, nonostante il concordato non faccia perdere al debitore insolvente, e al terzo cedente, nè la capacità, nè l'amministrazione dei beni. E', infatti, indubbio che la liquidazione patrimoniale, nella forma concordataria della cessio bonorum, è sottratta alla disponibilità del proprietario e resta attribuita all'organo nominato dal tribunale. Come è confermato, rispetto all'imprenditore concordatario, dall'art. 167, comma 2, L.F. che considera inefficaci gli atti di disposizione posti in essere senza il rispetto delle regole della procedura concorsuale. In conclusione, se non può essere messo in dubbio che gli atti di disposizione che, attuando il concordato, liquidano i beni ceduti dal debitore insolvente sottoposto a concordato, non possano essere oggetto di azione revocatoria intentata dal creditore del debitore insolvente, allo stesso modo, per la identità di funzione che caratterizza la cessione dei beni di terzi, gli atti di liquidazione che riguardano questi ultimi beni non possono essere oggetto di azione revocatoria da parte del creditore del terzo cedente, pena la messa in discussione della funzione stessa del concordato.
6.2.2.
La non ipotizzabilità di un'azione pauliana sugli atti di disposizione attuativi della procedura concorsuale di concordato preventivo emerge anche se si considera un altro profilo di sistema. Se è vero: che l'azione revocatoria tende, attraverso l'inefficacia dell'atto revocando, allo scopo di consentire ai creditori l'esecuzione sul bene, che resta nel patrimonio dell'acquirente; che il suo accoglimento costringe l'acquirente a subire le azioni esecutive sul bene oggetto dell'atto impugnato, facendogli acquistare ragioni di credito verso l'alienante. Allora, ammettendo la revocatoria nel caso che ci occupa, bisognerebbe concludere che l'acquirente acquista ragioni di credito nei confronti della procedura concorsuale, che è destinataria del ricavato della vendita e la stessa ragione dei concordato preventivo ne risulterebbe frustrata nella sua essenza.
6.3.
Nè le conclusioni cui si è giunti sono messe in discussione dai limiti alla equiparazione tra cessione dei beni del terzo e cessione dei beni del debitore, cui la Corte è pervenuta nell'interpretazione dell'art. 168, comma 1, L.F., secondo cui "In tema di concordato preventivo, la norma di cui all'art. 168, comma 1, L. F., che fa divieto ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore (e, quindi, di procedere in executivis per la realizzazione di un eventuale diritto di pegno) "dalla data della presentazione del ricorso per l'ammissione al concordato fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione", non può ritenersi legittimamente applicabile anche al creditore pignoratizio del terzo che abbia, in luogo del debitore insolvente, offerto in cessione i propri beni (tra cui quello oggetto di pegno) in funzione di adempimento del concordato, non ricorrendo, in tale ipotesi, alcuno dei presupposti di conservazione e di tutela che ispirano la ratio della ricordata norma ex art. 168, e cioè la garanzia della par condicio creditorum e la conservazione dell'integrità del patrimonio del debitore insolvente nella prospettiva di un negativo epilogo della procedura concordataria, con conseguente dichiarazione di fallimento. (Cass. 8 luglio 1998, n. 6671; prima, in senso contrario, Cass. 16 aprile 1996, n. 3588). Infatti, tale limitazione trova fondamento nella diversa posizione del terzo e del debitore concordatario ne caso di esito negativo della procedura di concordato preventivo e di apertura del fallimento, restando i beni del terzo cedente esclusi dalla acquisizione alla massa attiva fallimentare, atteso che il terzo non è insolvente e non è debitore dei creditori del debitore insolvente; con la conseguenza che la cessione non può valere a vanificare la funzione di garanzia generica e specifica cui il suo patrimonio adempie nei confronti dei preesistenti creditori personali. Infatti, proprio tale limitazione, consentendo la presenza di procedure esecutive sui beni che il terzo offre in cessione al concordato ai sensi dell'art. 168 L.F., diventa rilevante sotto un profilo diverso: in sede di valutazione della idoneità della garanzia del terzo rispetto alla procedura concorsuale e, quindi, in sede di ammissibilità delia proposta di concordato preventivo.
6.4.
Il ricorso è accolto sulla base del seguente principio di diritto: "Non è ammissibile, a tutela della garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio del debitore per un credito (non contestato nella specie) preesistente alla procedura di concordato preventivo, l'azione revocatoria ordinaria, ex art. 2901 cod. civ., contro un atto di disposizione di un bene, che fa parte dell'attivo di un concordato preventivo omologato di una società di capitali per essere stato ceduto (in garanzia del concordato) da terzi (debitori di chi esperisce l'azione pauliana), e, pertanto, contro un atto posto in essere - su autorizzazione del giudice delegato della procedura concorsuale - dal procuratore speciale dei proprietari/debitori, intervenuto anche quale commissario giudiziale nell'interesse della società e dei creditori della stessa, stante la funzionalità dell'atto alla attuazione del concordato preventivo omologato, con sentenza passata in giudicato".
7.
Dall'accoglimento del ricorso deriva l'assorbimento delle doglianze della ricorrente, che comunque non si traducono in specifici motivi, concernenti la condanna alle spese anche del commissario giudiziale e l'omessa considerazione della tardiva produzione documentale in appello della Fondiaria, ai fini delle spese ex art. 345 cod. proc. civ..
8.
In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza cassata. La Corte decide nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, e dichiara inammissibile la domanda, ex art. 2901 cod. civ., proposta dalla La Fondiaria nei confronti dell'atto di compravendita del 31 luglio 1989 in argomento.
9.
In ragione del diverso esito della causa nei gradi di merito e della novità della questione affrontata, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente le spese processuali di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda di revocatoria proposta da La Fondiaria Assicurazioni Spa (poi La Fondiaria SAI Spa). Compensa integralmente tra le parti le spese dell'intero processo. Così deciso in Roma, il 25 giugno 2012. Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012
Norma

Art. 167 L.F. Amministrazione dei beni durante la procedura



I.
Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale (1).
II.
I mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.
III.
Con il decreto previsto dall’articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l’autorizzazione di cui al secondo comma (2).
 

 

(1) Comma modificato dall’art. 143 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. La modifica è entrata in vigore il 16 luglio 2006.
(2) Comma introdotto dall’art. 143 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. La modifica è entrata in vigore il 16 luglio 2006.
Prassi
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Tutta la Giurisprudenza

Art. 167 L.F. Amministrazione dei beni durante la procedura

Art. 167 L.F. Amministrazione dei beni durante la procedura

 

I) Sulla ricorribilità avverso il decreto di autorizzazione del giudice

 

II) Sulla legittimazione passiva rispetto alla domanda di accertamento del credito

 

III) Sugli atti posti in essere su autorizzazione del giudice delegato

 

IV) Sull’autorizzazione del conferimento di incarico al professionista

 

V) Sulla legittimazione passiva rispetto alla domanda di accertamento di credito e condanna

 

VII) Sull’inefficacia dei pagamenti non autorizzati afferenti debiti anteriori

 

VIII) Sull’impugnabilità dei provvedimenti autorizzativi

 

IX) Sui poteri del debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni

 

X) Sull’efficacia dei pagamenti e degli atti di straordinaria amministrazione in difetto di autorizzazione

 

XI) Sulla natura degli atti di straordinaria amministrazione

 

XII) Sulla natura del pre-concordato ex art. 161, co. 6 L.F.

 

XIV) Sulla legittimità del pagamento effettuato dal debitor debitoris posteriormente al pignoramento trascritto prima della pubblicazione della domanda di concordato preventivo

 
Legge Fallimentare Completa
TITOLO I
Disposizioni generali
 
TITOLO II
Del fallimento
 
TITOLO III
Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione

TITOLO IV
Dell’ammissione controllata

TITOLO V
Della liquidazione coatta amministrativa

TITOLO VI
Disposizioni penali

TITOLO VII
Disposizioni transitorie
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