Cassazione civile sez. I, 07 ottobre 2014, n. 21106
Sul decorso degli interessi fuori dal concordato preventivo Cassazione civile sez.I,07 ottobre 2014, n. 21106
““La sospensione del decorso degli interessi di cui al combinato disposto degli art. 55 e 169 L. F. non trova applicazione nei rapporti tra debitore e creditore fuori dalla procedura di concordato, in quanto ai sensi dell’art. 168 L.F. l'ammissione dell'impresa al concordato preventivo preclude ai creditori per titolo anteriore al relativo decreto esclusivamente l'esercizio delle azioni esecutive, e non anche di quelle di accertamento e di condanna, che restano, quindi, proponibili dinanzi al giudice competente, il quale deve tener conto anche degli interessi, il cui corso, in sede di giudizio ordinario, non è sospeso neppure a seguito dell'ammissione alla procedura del debitore, in quanto il principio della cristallizzazione dei crediti alla data di presentazione della domanda di concordato ha portata interna alla procedura concorsuale, e pertanto non opera al di fuori della stessa” (massima redazionale) ***
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. SALVAGO Salvatore - Presidente
- Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere
- Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere
- Dott. BENINI Stefano - Consigliere
- Dott. MERCOLINO Guido - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da: GEMIGNANI COSTRUZIONI S.N.C., in concordato preventivo, in persona del legale rappresentante p.t. G.P., elettivamente domiciliata in Roma, al Lungotevere Flaminio n. 46, presso lo STUDIO GREZ, unitamente all'avv. GIALLONGO NATALE, dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce al ricorso; - ricorrente -
CASALP - CASA LIVORNO E PROVINCIA S.P.A. (già A.T.E.R. Livorno), in persona del legale rappresentante p.t. B.A.M., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Goito n. 29, presso l'avv. PATELMO Paolo, unitamente agli avv. BELLESI ANTONIO e SIMONE ZANI, dai quali è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso; - controricorrente - E AURORA ASSICURAZIONI S.P.A. (già Winterthur Assicurazioni S.p.a.), in persona del procuratore S.P., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Ronciglione n. 3, presso l'avv. SCIUTO FILIPPO, dal quale, unitamente all'avv. GIANMARIA SCOFONE, è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del controricorso; - controricorrente - AVVERSO la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 314/07, pubblicata il 28 febbraio 2007; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 marzo 2014 dal Consigliere dott. Guido Mercolino; udito l'avv. Carcelli per delega del difensore della ricorrente e l'avv. Sciuto per l'Aurora Assicurazioni S.p.a.; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. GOLIA Aurelio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.
- La Gemignani Costruzioni S.n.c. in concordato preventivo promosse due distinti giudizi nei confronti dell'A.T.E.R. - Azienda Territoriale Edilizia Residenziale di Livorno, chiedendo accertarsi l'illegittimità della rescissione di due contratti di appalto stipulati il 9 agosto ed il 20 dicembre 1985 con l'Istituto Autonomo per le Case Popolari di Livorno, aventi ad oggetto la costruzione di sette edifici in località (OMISSIS). Chiese inoltre pronunciarsi la risoluzione dei medesimi contratti per eccessiva onerosità sopravvenuta ed in subordine per inadempimento del committente, con l'accertamento dell'inesattezza dei conteggi presentati dall'ATER al Tribunale fallimentare e la condanna della committente al pagamento delle forniture e dei lavori eseguiti, nonchè al risarcimento dei danni. In entrambi i giudizi, si costituì l'ATER, chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni per l'inadempimento. Spiegò inoltre intervento l'Intercontinentale Assicurazioni S.p.a., assumendo di aver prestato fideiussione a prima richiesta per le obbligazioni derivanti dai contratti, e chiedendo la condanna dell'ATER alla restituzione delle somme versate a seguito dell'escussione delle garanzie, ovvero la condanna dell'attrice al rimborso degl'importi che fossero risultati effettivamente dovuti.
1.1.
- Riuniti i giudizi, il Tribunale di Livorno, con sentenza del 20 giugno 2002, dichiarò la giurisdizione del Giudice ordinario in ordine alla domanda di accertamento dell'illegittimità della rescissione, e la competenza del Tribunale fallimentare in ordine alla domanda di accertamento dell'inesattezza dei conteggi; rigettò la domanda proposta dalla Gemignani, dichiarando legittima la risoluzione dei contratti di appalto, ed accolse la domanda riconvenzionale proposta dall'ATER, condannando l'attrice al pagamento della somma di Euro 734.196,10, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno.
2.
- Le impugnazioni separatamente proposte dalla Gemignani e dalla Winterthur Assicurazioni S.p.a. (succeduta all'Intercontinentale a seguito di fusione per incorporazione) sono state riunite dalla Corte d'Appello di Firenze, che con sentenza del 28 febbraio 2007 ha rigettato la prima ed accolto la seconda, condannando la Gemignani al pagamento in favore della Winterthur della somma di Euro 675.341,86, oltre interessi moratori al tasso ufficiale di sconto maggiorato di tre punti per una delle polizze fideiussorie ed al tasso legale per le altre, nonchè al maggior danno di cui all'art. 1224 cod. civ.. A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha innanzitutto rigettato l'eccezione di nullità della c.t.u. espletata in primo grado, ritenendo legittima l'utilizzazione da parte del c.t.u. di una perizia giurata prodotta dall'ATER e degli atti della commissione di collaudo, in quanto si trattava di documenti rilevanti ai fini della ricostruzione della contabilità dei lavori, il primo dei quali proveniente dal consulente di parte della convenuta e gli altri comunque sottoponibili all'esame del c.t.u., nonchè già acquisiti da un precedente consulente, poi sostituito dal Giudice istruttore, e noti alle parti. Rilevato inoltre che non era stata fornita la prova del rifiuto del c.t.u. di consentirne l'esame al consulente di parte della Gemignani, ha aggiunto che la questione doveva ritenersi comunque superata per effetto della successiva rinnovazione della c.t.u., nell'ambito della quale erano stati formulati anche quesiti proposti dall'attrice, e del deposito da parte del c.t.u. di altre due relazioni, la cui ritualità non era stata in alcun modo contestata. La Corte ha altresì rigettato la richiesta di ulteriore rinnovazione della c.t.u., formulata sulla base delle deduzioni già depositate in primo grado e di una relazione tecnica successiva alla sentenza impugnata, rilevando che le prime erano già state esaminate dal c.t.u. mentre la seconda era stata irritualmente prodotta, non essendo stata allegata all'atto di appello nè prodotta a verbale, ma solo inserita nel fascicolo di parte e riportata nell'elenco dei documenti, non recante la sottoscrizione dal cancelliere nè comunicato alle altre parti. Ha infine confermato l'inammissibilità della prova testimoniale dedotta dalla Gemignani, in considerazione della genericità o dell'irrilevanza dei fatti capitolati, in parte coinvolgenti valutazioni ed in parte superati dagli accertamenti compiuti dal c.t.u.. Quanto alla legittimità della rescissione, la Corte ha richiamato la documentazione acquisita, dalla quale risultava che l'appaltatrice aveva tenuto un comportamento gravemente negligente e contrario agli obblighi ed alle condizioni stipulate, tale da compromettere la buona riuscita dell'opera commissionata, avendo accumulato un gravissimo ritardo nell'esecuzione dei lavori, avendoli ingiustificatamente abbandonati, non avendo ottemperato all'ordine di riprenderli ed avendone infine subordinato la prosecuzione all'infondata pretesa di un aumento dei prezzi contrattuali, di un'ulteriore proroga dei termini e di altre modificazioni del contratto. Ha rilevato che la Gemignani, oltre ad aver riconosciuto l'impossibilità di completare le opere nei termini previsti, non aveva dimostrato di essere in grado di riprenderli e completarli nè di aver ottenuto la relativa autorizzazione dagli organi del concordato preventivo. Ha riconosciuto la legittimità del procedimento seguito ai fini della rescissione, essendo stata quest'ultima disposta dall'organo competente e comunicata all'appaltatrice a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, a seguito della contestazione degli addebiti effettuata mediante la trasmissione delle relazioni redatte dal direttore dei lavori e dal coordinatore del servizio tecnico dell'IACP. Ha ritenuto infondate le contestazioni riguardanti la contabilizzazione delle opere eseguite, osservando che i rappresentanti della Gemignani, regolarmente convocati per la redazione dello stato di consistenza, non vi avevano partecipato, oltre ad aver omesso di provvedere alla riconsegna dei cantieri. Ha infine escluso che l'inadempimento dell'impresa trovasse giustificazione in quello della committente, rilevando che il ritardo nella consegna dei lavori aveva riguardato soltanto uno degli edifici, per il quale il bando di gara aveva già previsto la proroga del termine per l'ultimazione, ed aggiungendo che, anche a voler ritenere unico il termine fissato per l'intero complesso edilizio, lo stato di avanzamento dei lavori era tale da non consentirne il rispetto. In ordine all'ammontare dei lavori eseguiti al momento della rescissione, la Corte ha condiviso le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., il quale, in considerazione dell'avvenuto completamento delle opere da parte di altre imprese, era risalito a quelle realizzate dalla Gemignani mediante il confronto delle diverse contabilità disponibili, scartando motivatamente la perizia giurata redatta per la procedura di concordato preventivo e la contabilità prodotta dall'appaltatrice, e procedendo autonomamente alla quantificazione del corrispettivo sulla base della contabilità redatta dal direttore dei lavori e dalla commissione di collaudo. Ha ritenuto inattendibili i conteggi prodotti dall'attrice, che, oltre a presupporre l'illegittimità della rescissione, erano fondati sulla contabilità della Gemignani e non tenevano conto dei pagamenti dovuti dall'impresa. Ha escluso la compatibilità della rescissione con il recesso ad nutum previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 345 e con la risoluzione del contratto per inadempimento della committente, ritenendo infondata anche la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in quanto l'appellante non aveva neppure specificato le circostanze straordinarie ed imprevedibili poste a fondamento della stessa. Premesso infine che i crediti vantati nei confronti dell'impresa in concordato preventivo dovevano essere accertati in un ordinario giudizio di cognizione, non essendo prevista in tale procedura una fase di verificazione del passivo, la Corte ha ritenuto assorbita la domanda di accertamento della correttezza dei conteggi prodotti dall'ATER nel concordato preventivo, mentre ha ritenuto fondata la domanda di rivalsa proposta dalla Winterthur in qualità di fideiussore escusso dalla committente, e non esaminata dal Giudice di primo grado, precisando che la questione relativa alla cristallizzazione degl'interessi ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 55 e 169 avrebbe dovuto essere affrontata in sede di concordato.
3.
- Avverso la predetta sentenza la Gemignani ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi la Casalp - Casa Livorno e Provincia S.p.a. (già ATER Livorno) e la Winterthur, sotto la nuova denominazione di Aurora Assicurazioni S.p.a..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.
- Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 74 ed 87 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè il difetto di motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato le istanze di rinnovazione della c.t.u. e di ammissione della prova testimoniale. Afferma infatti che, nel ritenere irrituale la produzione della relazione tecnica da essa depositata in appello, la Corte di merito non ha tenuto conto che la stessa, oltre a non essere stata contestata dalle altre parti, era stata depositata all'atto della costituzione in giudizio, con la conseguenza che non risultavano necessarie la sua inclusione dell'elenco dei documenti e la comunicazione alle altre parti, prescritte soltanto in caso di produzione successiva e comunque irrilevanti ai fini dell'utilizzabilità dei documenti. La sentenza impugnata ha immotivatamente disatteso i rilievi sollevati dal consulente di parte di essa ricorrente, essendosi limitata a richiamare le conclusioni del c.t.u. ed essendosi astenuta dall'esporre le ragioni di tale adesione: in particolare, essa non ha tenuto conto che a) nella contabilizzazione delle opere, il c.t.u. aveva recepito acriticamente i dati relativi all'entità ed alle categorie di lavori forniti dalla perizia giurata depositata dall'ATER, omettendo di sottoporli a verifica; b) sulla base dei predetti dati, il c.t.u. era pervenuto alla determinazione di un saldo negativo per l'impresa, non risultante dai conteggi del consulente di parte, c) ed all'esclusione del mancato utile; d) nel porre interamente a carico di essa ricorrente i maggiori oneri derivanti dall'affidamento dei lavori ad altra impresa, il c.t.u. non aveva tenuto conto della tempistica con cui era stata espletata la relativa gara; e) nel liquidare la penale, il c.t.u. aveva fatto riferimento ad un ritardo presunto, senza formulare alcuna concreta ipotesi in ordine all'ultimazione dei lavori, e senza considerare che nel conto finale l'ATER non aveva chiesto alcuna detrazione; f) nel determinare gli oneri derivanti dal conferimento del nuovo appalto, il c.t.u. aveva omesso di confrontare le singole voci e categorie di opere da esso previste con quelle contemplate dal progetto originario, g) e di dare spiegazione delle modifiche apportate dalla committente ai prezzi contrattuali; h) nella determinazione del saldo, il c.t.u. aveva introdotto elementi negativi ulteriori, astenendosi dal prendere posizione in ordine al riaccredito di alcuni importi. Secondo la ricorrente, nel dichiarare inammissibili i capitoli di prova da essa articolati, la Corte di merito non ha considerato che gli stessi erano finalizzati alla prova di circostanze sopravvenute che avevano determinato l'aumento del costo degl'interventi e dei ritardi e delle disfunzioni conseguenti agli ordini contraddittori della committente ed alla mancata consegna di disegni esecutivi, nonchè delle somme percepite dall'assicuratore e delle ritenute a garanzia. Al riguardo, non era configurabile una violazione dell'art. 342 cod. proc. civ., avendo essa specificato nei motivi di appello le ragioni sottese alla richiesta di riforma della sentenza impugnata, anche con riferimento alle prove dedotte.
1.1.
- Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile. E' pur vero, infatti, che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, la relazione del consulente tecnico di parte non costituisce un documento probatorio, ma un mero scritto difensivo, avente la finalità di sottoporre al giudice considerazioni di ordine tecnico, la cui produzione in giudizio può avere luogo anche dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni (cfr. Cass., Sez. Un., 3 giugno 2013, n. 13902; Cass., Sez. 2, 8 gennaio 2013, n. 259; Cass., Sez. 3, 9 maggio 1988, n. 3405). Sebbene pertanto non possa condividersi l'affermazione della ricorrente, secondo cui l'adempimento delle formalità prescritte dall'art. 74 disp. att. cod. proc. civ. è richiesto esclusivamente per la produzione di atti e documenti depositati successivamente alla costituzione in giudizio della parte, deve ritenersi che la mancata inclusione di tale atto nell'indice del fascicolo di parte, la cui sottoscrizione ad opera del cancelliere è volta a far risultare l'effettivo deposito degli atti o dei documenti ivi elencati, non ne escluda l'utilizzabilità da parte del giudice, ove la relazione risulti inserita nel fascicolo alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. L'omesso esame delle argomentazioni tecniche del consulente di parte, in conseguenza della dichiarazione d'inutilizzabilità della relazione, non comporta peraltro la nullità della sentenza, potendo soltanto tradursi nell'insufficienza della relativa motivazione, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, subordinatamente alla dimostrazione dell'idoneità delle critiche mosse alla relazione del c.t.u. ad orientare in senso diverso la decisione del giudice.
1.2.
- La parte che in sede di legittimità si dolga dell'acritica adesione del giudice di merito alla consulenza tecnica di ufficio, nonostante la formulazione di specifici rilievi in ordine all'operato del consulente, non può peraltro limitarsi a lamentare genericamente l'inadeguatezza della motivazione, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l'onere di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali essa invoca il controllo di logicità e adeguatezza, riportando per esteso le pertinenti parti della relazione di consulenza che ritiene insufficientemente o erroneamente valutate e svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, al fine di consentire a questa Corte l'apprezzamento dell'incidenza causale del difetto di motivazione (cfr. Cass., Sez. 2, 13 giugno 2007, n. 13845; Cass., Sez. 1, 7 marzo 2006, n. 4885). Tale onere nella specie non può ritenersi adeguatamente assolto, essendosi la ricorrente limitata a riassumere le risposte fornite dal c.t.u. ai quesiti sottopostigli dal Giudice di primo grado ed a trascrivere nel ricorso i rilievi sollevati nella relazione di parte, senza neppure precisare se tali critiche abbiano costituito oggetto di censure specificamente dedotte con l'atto d'appello, con la conseguenza che risulta assolutamente impossibile cogliere la rilevanza delle carenze addebitate alla consulenza d'ufficio e la portata degli obblighi motivazionali gravanti sul Giudice d'appello. Significativa, al riguardo, è la circostanza che la Corte di merito abbia avvertito la necessità di evidenziare il difetto di specificità dei motivi d'impugnazione, fondati sul generico richiamo alla comparsa conclusionale ed agli scritti difensivi di primo grado, e quindi inidonei a consentire l'individuazione dell'oggetto e dell'ambito del riesame sollecitato dalla appellante, la cui identificazione da parte del Giudice di secondo grado presuppone pur sempre che la parte abbia indicato con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le critiche mosse alla motivazione della sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa puntuali argomentazioni, in modo da incrinarne il fondamento logico- giuridico (cfr. Cass., Sez. 1, 18 gennaio 2013, n. 1248; 11 ottobre 2006, n. 21816; 19 settembre 2006, n. 20261).
1.3.
- Per analoghi motivi, non possono trovare accoglimento le censure riguardanti la mancata ammissione della prova testimoniale dedotta dalla ricorrente, in ordine alla quale quest'ultima si è limitata ad insistere sulla pertinenza dei relativi capitoli alle questioni trattate in giudizio, senza essere in grado di contrapporre valide argomentazioni all'apprezzamento espresso dalla Corte di merito, la quale ha sottolineato la genericità degl'interrogativi formulati e l'attinenza degli stessi a valutazioni, piuttosto che a fatti storici.
2.
- Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 2697 cod. civ., della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, artt. 340 - 345 e del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 27 nonchè il difetto di motivazione, sostenendo che, nell'affermare la legittimità della rescissione, la sentenza impugnata non ha considerato che in tema di risoluzione del contratto il creditore che agisce in giudizio è tenuto a fornire esclusivamente la prova della fonte del diritto, spettando al debitore convenuto la prova dei fatti estintivi, modificativi o impeditivi. Alla stregua di tale principio, avendo essa ricorrente dedotto a fondamento della domanda l'antieconomicità della prestazione, derivante da circostanze imprevedibili, e la non imputabilità del ritardo nell'esecuzione delle opere, incombeva alla committente, che non l'ha adempiuto, l'onere di provare l'irrilevanza delle predette circostanze e la sussistenza dei presupposti della rescissione. In proposito, la Corte di merito non ha tenuto conto dei documenti dai quali risultava la disponibilità di essa ricorrente a completare i lavori nei termini previsti, ma si è limitata ad elencare la documentazione prodotta ed a richiamare la relazione del c.t.u., astenendosi da un'autonoma valutazione e demandando allo stesso anche la verifica in ordine all'osservanza delle disposizioni di legge che disciplinano la rescissione del contratto.
3.
- Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 1460 cod. civ., nonchè l'omessa motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il ritardo nell'esecuzione dei lavori fosse giustificato dall'inadempimento della committente. Premesso che non erano stati contestati il ritardo nella consegna dei lavori relativi ad uno degli edifici e la mancata consegna di quelli relativi ad un altro, e ribadito che in ordine agli altri inadempimenti della committente era stata richiesta l'ammissione della prova testimoniale, sostiene che dalla documentazione prodotta non emergeva la prova di un ritardo imputabile ad essa appaltatrice nè la sua volontà di rifiutare l'adempimento a seguito dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo.
4.
- I due motivi devono essere trattati congiuntamente, riflettendo la comune problematica inerente all'individuazione degli oneri probatori gravanti sulle parti ed alla condivisibilità delle conseguenze che ne ha tratto la sentenza impugnata. La domanda proposta dal ricorrente in primo grado era volta ad ottenere la dichiarazione d'illegittimità della rescissione dei contratti d'appalto, disposta dall'ATER ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340 e del R.D. n. 350 del 1895, art. 27 ed in via cumulativa la risoluzione dei medesimi contratti per inadempimento della committente o per eccessiva onerosità sopravvenuta. La rescissione del contratto ai sensi delle citate disposizioni costituisce espressione di un potere di autotutela dell'Amministrazione, il cui esercizio, pur dispensando la committente dalla necessità di agire in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto d'appalto, e ponendo a carico dell'appaltatore l'iniziativa della contestazione, con la conseguente inversione della posizione processuale delle parti, non comporta alcuna modificazione nella ripartizione dell'onere della prova, la cui disciplina resta soggetta alle regole ordinarie. Trova pertanto applicazione il principio, costantemente ribadito da questa Corte a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 30 ottobre 2001, n. 13533, secondo cui il creditore che agisca per la risoluzione del contratto è tenuto a provare esclusivamente la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto e la scadenza del relativo termine, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento della controparte, mentre il debitore è gravato dall'onere di fornire la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dall'esattezza dell'adempimento, ed eguale criterio si applica nel caso in cui il debitore convenuto per la risoluzione eccepisca l'inadempimento della controparte, risultando in tal caso invertiti i ruoli delle parti in lite (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 1, 15 luglio 2011, n. 15659; 3 luglio 2009, n. 15677; Cass., Sez. 3, 12 febbraio 2010, n. 3373). In quanto volta a far valere l'insussistenza dei presupposti della rescissione, la domanda dell'appaltatore si configura d'altronde come un'azione di accertamento negativo della facoltà di disporla, la cui proposizione pone a carico del titolare l'onere di fornire la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, restando invece a carico dell'attore, il quale intenda ottenere il riconoscimento di una propria pretesa, l'onere di dimostrarne il fondamento (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 6, 4 ottobre 2012, n. 16917; Cass., Sez. lav., 10 novembre 2010, n. 22862; 18 maggio 2010, n. 12108).
4.1.
- Applicando i predetti principi alla fattispecie in esame, può quindi affermarsi che la contestazione della legittimità della rescissione comportava per l'Amministrazione esclusivamente la necessità di provare l'avvenuta stipulazione dei contratti di appalto, risultando i motivi della rescissione già precisati nel provvedimento impugnato, e restando quindi a carico dell'attrice la prova delle circostanze che avevano impedito l'adempimento o l'esatto adempimento; tali circostanze erano state individuate dall'attrice nell'asserito ritardo nella consegna dei lavori e nella mancata consegna degli elaborati progettuali, che costituivano il fondamento della domanda di risoluzione per inadempimento della committente, nonchè nella antieconomicità della prestazione, dedotta dall'attrice a sostegno della domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta: incombeva pertanto all'Amministrazione l'onere di fornire la prova dell'avvenuto adempimento degli obblighi posti a suo carico, mentre spettava all'appaltatrice quello di allegare e dimostrare le circostanze straordinarie ed imprevedibili, sopravvenute alla stipulazione, che avevano determinato l'alterazione dell'equilibrio tra le prestazioni convenute. A tali criteri si è puntualmente attenuta la sentenza impugnata, la quale non si è affatto limitata ad elencare la documentazione acquisita agli atti, ma ne ha accuratamente evidenziato le risultanze, sfavorevoli per la ricorrente, sottolineando in particolare la gravità del ritardo accumulato da quest'ultima nell'esecuzione dei lavori, l'abbandono degli stessi, l'inottemperanza all'ordine di riprenderli e la formulazione da parte della stessa d'ingiustificate richieste di aumento del corrispettivo e di proroga dei termini, da cui ha desunto la contrarietà della condotta tenuta dall'appaltatrice all'obbligo di diligenza nell'esecuzione del contratto, e l'idoneità della stessa a compromettere la buona riuscita dell'opera commissionata. 4.2.
- In ordine alla consegna dei lavori, la sentenza impugnata ha accertato che il ritardo, riguardante soltanto uno dei fabbricati commissionati alla società attrice, era espressamente contemplato dal bando di gara, il quale dava atto della indisponibilità della relativa area di sedime, prevedendo una corrispondente proroga del termine per l'ultimazione dei lavori, non riferibile al completamento degli altri edifici. Correttamente, pertanto, la Corte di merito ha escluso la possibilità di ricondurre il ritardo nello stato di avanzamento dei lavori ad un inadempimento dell'Amministrazione, che avrebbe potuto ritenersi configurabile esclusivamente nell'ipotesi in cui la consegna non fosse avvenuta nel rispetto dei termini a tal fine previsti dal contratto. La consegna dei lavori nel termine fissato dal contratto, pur costituendo oggetto di un obbligo del committente, il cui inadempimento è fonte di responsabilità per l'Amministrazione, tenuta a collaborare con l'appaltatore per consentirgli la realizzazione dell'opera nei tempi programmati, non attribuisce d'altronde all'appaltatore il diritto alla risoluzione del contratto nè quello di avanzare pretese risarcitorie. Negli appalti stipulati da enti costruttori di edifici di edilizia residenziale pubblica trovano infatti applicazione, ai sensi del D.P.R. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 80 le norme che regolano le opere di competenza dello Stato, e segnatamente il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10 il quale detta una disciplina derogatoria rispetto a quella prevista in via generale dall'art. 1453 c.c. e segg., attribuendo all'appaltatore, in caso di ritardo o di consegna frazionata dei lavori, la sola facoltà di presentare istanza di recesso dal contratto, e disponendo che in caso di mancato accoglimento della stessa egli ha diritto esclusivamente al compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo. Il mancato esercizio della facoltà di recesso esclude pertanto non solo la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento dell'Amministrazione, ma anche il riconoscimento del diritto al compenso, dovendosi presumere che, nonostante il ritardo nella consegna, l'appaltatore abbia considerato ancora eseguibile il contratto nei termini pattuiti, senza ulteriori oneri a carico della stazione appaltante (cfr. Cass., Sez. 1, 7 febbraio 2013, n. 2983; 10 novembre 2008, n. 26916; 11 novembre 2004, n. 21484). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha negato qualsiasi rilevanza alla consegna frazionata dei lavori, in ordine alla quale non ha peraltro mancato di osservare da un lato che il relativo ritardo non aveva causato alcun pregiudizio all'impresa appaltatrice, dall'altro che, anche a voler ritenere applicabile a tutti i lavori commissionati la proroga concessa per l'ultimazione di quelli consegnati in ritardo, non avrebbe potuto escludersi la legittimità della rescissione, avuto riguardo allo stato di avanzamento delle opere, tale da lasciar prevedere che il completamento non avrebbe potuto aver luogo nel termine stabilito.
4.3.
- In quest'ottica, nessuna rilevanza potrebbe riconoscersi neppure alla volontà di proseguire i lavori eventualmente manifestata dall'impresa appaltatrice con l'autorizzazione degli organi del concordato preventivo, la cui prova, peraltro, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, avrebbe dovuto essere fornita dall'attrice, che non ha neppure dedotto di aver adempiuto il relativo onere.
5.
- Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1268, 1655 e 1671 cod. civ., nonchè il difetto di motivazione, affermando che, ai fini della valutazione delle opere eseguite fino al momento della rescissione del contratto, la sentenza impugnata si è limitata a recepire i dati forniti dal c.t.u., omettendo di esaminare le ulteriori argomentazioni addotte a sostegno dell'appello e le critiche sollevate dalla relazione tecnica prodotta in ordine al sistema di contabilizzazione adottato dal c.t.u.. Nel rigettare le domande proposte da essa ricorrente, la Corte di merito non ha considerato che l'insussistenza dei presupposti della rescissione imponeva il riconoscimento in favore dell'appaltatrice del mancato guadagno e delle ulteriori somme dovute per l'illegittima risoluzione, ovvero, nell'ipotesi in cui fosse stato configurabile un recesso ad nutum, delle somme dovute ai sensi del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 41 e della L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 345.
6.
- Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione della L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 345 nonchè l'omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la legittimità della rescissione del contratto escludesse la configurabilità del recesso ad nutum e l'ammissibilità della risoluzione per inadempimento della committente. Premesso infatti che la dichiarazione negoziale volta a caducare il contratto non preclude la valutazione della sussistenza dei presupposti della risoluzione, la quale si riferisce al rapporto e non già all'atto, afferma che nella specie la documentazione prodotta comprovava la ripetuta violazione delle previsioni contrattuali e della normativa in tema di lavori pubblici da parte della committente. 7.
- I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti questioni tra loro intimamente connesse, sono in parte inammissibili, in parte assorbiti, in parte infondati. Nel censurare l'acritica adesione della sentenza impugnata alle conclusioni del c.t.u., nella parte riguardante la stima delle opere realizzate fino al momento della risoluzione del rapporto, la ricorrente si è limitata ancora una volta ad invocare le argomentazioni svolte dal consulente di parte nella relazione erroneamente ritenuta inutilizzabile dalla Corte di merito, senza riportare nel ricorso i passi salienti della relazione del c.t.u. e senza indicare specificamente gli elementi e le considerazioni in ordine ai quali ha sollecitato il controllo di logicità ed adeguatezza, con la conseguenza che il motivo risulta, per tale profilo, carente di autosufficienza. 7.1.
- Il rigetto delle censure riguardanti la sussistenza dei presupposti della rescissione comporta invece l'assorbimento di quelle aventi ad oggetto il mancato accoglimento delle pretese risarcitorie collegate all'illegittima risoluzione del rapporto di appalto e della domanda di riconoscimento dei rimborsi e degl'indennizzi previsti per l'ipotesi di recesso ad nutum dell'Amministrazione committente. Non può infatti condividersi l'assunto difensivo della ricorrente, secondo cui la dichiarazione di legittimità del provvedimento di rescissione non preclude la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento dell'Amministrazione. L'esercizio della facoltà di rescindere il contratto d'appalto è subordinato dalla L. n. 2248 del 1865, art. 340 alla configurabilità di una condotta fraudolenta dell'appaltatore o della grave negligenza dello stesso nell'adempimento degli obblighi e delle condizioni stipulate, la cui verifica, analoga a quella richiesta in via generale dall'art. 1453 cod. civ. ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento, implica, nel caso in cui l'appaltatore abbia proposto l'eccezione inadimplenti non est adimplendum o abbia chiesto a sua volta la risoluzione in danno dell'Amministrazione committente, una valutazione comparativa ed unitaria del comportamento delle parti contraenti, al fine d'individuarne le reciproche interrelazioni e di stabilire la gravità dei rispettivi inadempimenti, in relazione alla funzione economico-sociale del contratto ed agl'interessi perseguiti attraverso la sua stipulazione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 2, 7 giugno 2011, n. 12296; 15 dicembre 2006, n. 26943; 26 ottobre 2005, n. 20678; con specifico riferimento alla materia degli appalti pubblici, Cass., Sez. 1, 9 gennaio 2013, n. 336; 28 marzo 1997, n. 2799); tale valutazione non può concludersi con la pronuncia di risoluzione o con l'affermazione della legittimità del rifiuto di adempiere in favore di entrambe le parti, dovendo la risoluzione essere addebitata a quella che, con il proprio prevalente inadempimento, abbia alterato il nesso di interdipendenza tra le reciproche obbligazioni, dando perciò causa al giustificato inadempimento della controparte, e dovendosi, in mancanza della prova di una causa effettiva e determinante della risoluzione, rigettare entrambe le domande per insussistenza dei fatti giustificativi a sostegno delle stesse (cfr. Cass., Sez. 2, 11 giugno 2013, n. 14648; 24 settembre 2009, n. 20614; Cass., Sez. 3, 9 giugno 2010, n. 13840). Pertanto, così come, in linea generale, l'accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento di una delle parti è incompatibile, sul piano logico-giuridico, con quello dell'analoga domanda proposta dall'altra parte, in materia di appalto pubblico il rigetto della domanda di accertamento dell'illegittimità della rescissione del contratto è incompatibile con l'accoglimento di quella proposta dall'appaltatore per ottenere la risoluzione in danno dell'Amministrazione.
7.3.
- Quanto poi al recesso ad nutum, previsto dalla L. n. 2248 del 1865, art. 345 esso da luogo ad una fattispecie del tutto diversa da quella della rescissione, disciplinata dall'art. 340 della cit. legge, costituendo espressione di un diritto potestativo il cui esercizio comporta lo scioglimento del rapporto per volontà unilaterale dell'Amministrazione e non richiedendo la sussistenza di particolari presupposti, ma potendo essere disposto in qualsiasi momento, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato (cfr. Cass., Sez. 1, 7 agosto 1993, n. 8565; Cass., Sez. Un., 9 maggio 1972, n. 1402). Pertanto, una volta accertato l'avvenuto esercizio da parte dell'Amministrazione della facoltà di rescindere il contratto, l'appaltatore non può pretendere l'applicazione della disciplina del recesso ad nutum, la quale si riferisce ad un atto radicalmente diverso, i cui effetti, più favorevoli all'appaltatore, trovano giustificazione nella circostanza che lo scioglimento del rapporto ha luogo indipendentemente dall'accertamento del suo inadempimento.
8.
- Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione della L. Fall., artt. 55 e 169, sostenendo che, nella parte in cui ha ritenuto legittimo il riconoscimento integrale degl'interessi sulle somme liquidate in favore della committente e della società assicuratrice, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della sospensione degl'interessi conseguente alla presentazione della domanda di concordato.
8.1.
- Il motivo è infondato. Nell'escludere la sospensione del corso degl'interessi, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'ammissione dell'impresa al concordato preventivo preclude ai creditori per titolo anteriore al relativo decreto esclusivamente l'esercizio delle azioni esecutive, e non anche di quelle di accertamento e di condanna, che restano proponibili dinanzi al giudice competente, il quale deve tener conto anche degli interessi moratori, il cui corso non è sospeso a seguito dell'ammissione alla procedura, in quanto il principio della cristallizzazione dei crediti alla data di presentazione della domanda di concordato ha portata interna alla procedura concorsuale, e pertanto non opera al di fuori della stessa (cfr. Cass., Sez. 5, 14 marzo 2008, n. 6953; Cass., Sez. 2, 30 marzo 2005, n. 6672; 3 dicembre 1997, n. 12262). Nel contestare tale principio, la ricorrente si limita ad insistere sulla applicabilità degli artt. 55 e 169 cit. anche al di fuori della procedura concorsuale, precisando di non voler negare la competenza del Giudice ordinario sulle domande di accertamento dei crediti, ma astenendosi dal mettere in discussione le ragioni del predetto orientamento, il quale trova giustificazione proprio nella lettera dell'art. 55, che dispone la sospensione degli interessi agli effetti del concorso fino alla chiusura del fallimento, in tal modo escludendo che debba allo stesso modo operarsi decidendo sui rapporti tra creditore e debitore al di fuori della procedura e quando il creditore non è ancora concorrente.
9.
- Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la Gemignani Costruzioni S.n.c. in concordato preventivo al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 8.200,00, ivi compresi Euro 8.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, in favore della Casalp - Casa Livorno e Provincia S.p.a., ed in complessivi Euro 15.200,00, ivi compresi Euro 15.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, in favore della Aurora Assicurazioni S.p.a.. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 marzo 2014. Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2014.
Art. 169 L.F. Norme applicabili
I.
Si applicano, con riferimento alla data di presentazione della domanda di concordato, le disposizioni degli articoli 45, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63.
Si applica l’articolo 43, quarto comma, sostituendo al fallimento l’impresa ammessa al concordato preventivo (1).
-
Circolare dell’Agenzia delle Entrate, 1° marzo 2013, n. 2/E
Articolo 13-ter del D.L. n. 83 del 2012 – Disposizioni in materia di responsabilità solidale dell’appaltatore – Circolare n. 40/E dell’8 ottobre 2012 -
Circolare dell’Agenzia delle Entrate, 8 ottobre 2012, n. 40/E
Articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 – Disposizioni in materia di responsabilità solidale dell’appaltatore